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Il fastidioso ronzio irriverente de “La zanzara” pro-aborto

Il giorno 4 aprile 2024 Giòrgio Celsi, infermiere che da anni è impegnato nella difesa della vita, è stato òspite telefònico della trasmissione radiofònica di Ràdio 24 “La Zanzara”, condotta da Giuseppe Cruciani e David Parenzo.

Il pretesto per l’intervista

Il pretesto dell’intervista è stato un fatto di crònaca: un’infermiera romana di 44 anni, aiutata da suo marito, anche lui infermiere, aveva partorito prématuraménte in casa il fíglio che portava in grembo da 18 settimane. Onde evitare che il loro fíglio defunto venisse trattato come rifiuto ospedaliero, lo mettevano nel freezer di casa in attesa della sepoltura e andavano all’ospedale per la medicazione della donna. I dottori che soccórsero la donna, insospettiti dalla sua misteriosa emorragia, chiamàvano i poliziotti e questi, scoperto il feto nel freezer della loro casa, denunciàvano i due genitori per occultamento di cadàvere.

Sarebbe stato un caso interessante da trattare perché l’intervista avrebbe permesso di méttere in luce il problema della poca informazione sulle leggi che règolano la sepoltura o la cremazione dei feti morti in fase prenatale, problema che colpisce évidenteménte anche esponenti della classe ínfermierística. Ma purtroppo Cruciani e Parenzo hanno preferito cògliere il pretesto per rídicolizzàre il loro òspite, Giòrgio Celsi, per le sue posizioni “scàndalosaménte” anti abortiste.

L’aborto nell’òttica soggettiva di Cruciani e Parenzo

Per Cruciani e Parenzo, infatti, l’aborto è una conquista di civiltà e un sacrosanto diritto della donna e chi lo minàccia va abbattuto come fomentatore di una nociva involuzione culturale e morale. Come non difèndere l’aborto visto che, come afferma Parenzo, il feto non è niente ed è colei che lo gesta che deve liberamente gestire quel niente. Anche Cruciani ha un pensiero símile, sebbene gli sia sfuggito nella presa alla berlina di Giòrgio Celsi mascherata da intervista il tèrmine “bambino” in riferimento al feto down, ma solo per riaffermare il diritto della madre a gestire liberamente ciò che sta dentro la sua pància.

L’aborto nell’òttica oggettiva non ideològica

Giòrgio ha avuto la pazienza di rispóndere al gretto pensiero appena esposto. Credo che Giòrgio àbbia potuto farlo con pacatezza perché è abituato a trattare i pazienti òspiti del reparto ospedaliero in cui lavora da anni. Gli ha, inoltre, risposto relativamente bene per quanto fosse possíbile farlo visti i contínui ronzî disturbanti delle due “zanzare irriverenti”  (non me ne vògliano i due maestri del sarcasmo).

A me ora il rispòndere ànaliticaménte e sínteticaménte a benefício dei due sarcàstici istrioni e dei miei lettori.

È un “niente”?

Che il frutto del concepimento sia un “niente” e per questo abortíbile, è una mostruosa falsità e che sia tale è un’evidenza, per cui è superfluo qualsíasi argomento a sostegno di ciò. Le immàgini sottostanti sono piú che eloquenti. Sono scatti fotogràfici reali di feti a differenti settimane di sviluppo:

Diritto all’aborto?

Riferirsi al “diritto all’aborto” come se in Italia fosse già riconosciuto dalla legge è un errore. Nella legge italiana, infatti, contrariamente a quanto crédono Cruciani e Parenzo insieme a tanti italiani, non esiste un “diritto all’aborto”. La legge 194/’78 depenalizza l’aborto senza introdurre il diritto all’aborto, e lo fa consíderando nell’artícolo 4 il diritto alla “salute” della gestante come prevalente sul diritto alla vita del gestato. Per arrivare a una tale formulazione atta a giustificare l’ingiustificàbile, cioè l’uccisione di un èssere umano vivente nel grembo materno entro il límite arbitràrio dei primi 90 giorni di gravidanza, il legislatore ha dovuto fare i salti mortali linguístici. Ha dovuto evitare di fare riferimento all’accezione corrente del tèrmine “salute”, secondo la quale essa è “assenza di malattia”, perché altrimenti ogni mente sana avrebbe concluso che il legislatore si era bevuto il cervello, visto che tale accezione induceva a pensare che il gestato fosse la malattia della gestante. Ha fatto allora riferimento ad una accezione falsa del tèrmine, secondo la quale la “salute” è “totale benèssere psíco-físico” della persona. Sebbene il legislatore sia riuscito in questo modo a dare una giustificazione alla depenalizzazione dell’aborto, tale giustificazione risulta totalmente infondata e ingannevole. Perché non esiste una condizione di totale benéssere psíco-físico che possa raggiúngersi qui in Terra e tanto meno che possa raggiúngersi abortendo, visto che pròprio l’aborto espone le donne a grandi sofferenze psíchiche come la psicosi post-aborto[1], il disturbo da stress post-aborto (PTSD)[2] e la síndrome post-aborto (PAS)[3].

Il punto di vista dell’antiabortista

Parenzo e Cruciani non rièscono a comprèndere la posizione àntiabortísta perché osservano il problema dell’aborto da una prospettiva errata: da quella, cioè, della gestante che vuole interrómpere la gravidanza esercitando una scelta personale líbera, che la legge italiana le consente. Ma la prospettiva corretta è quella dell’innocente gestato che corre il ríschio di èssere ucciso.

Per verificare, infatti, se sia veramente giusta e non arbitrària una legge che permetta alla gestante di sottoporsi all’interruzione volontària di gravidanza (IVG) entro il terzo mese di gravidanza o addirittura anche oltre nei casi previsti all’artícolo 6 della legge 194/’78[4], bisogna prima stabilire cosa sia il frutto del concepimento e se possa èssere considerato un soggetto di diritto e godere quindi del diritto alla vita fin dalla prima fase del suo sviluppo.

Nell’osservare i primi tre mesi di sviluppo del frutto del concepimento dal concepimento alla nascita viene a imporsi all’intelligenza dell’osservatore un’evidenza íncontrovertíbile, e cioè che non vi è in esso soluzione di continuità. Non siamo cioè in presenza prima di un grumo cellulare e poi, ínspiegabileménte, di un éssere umano in formazione, ma siamo sempre in presenza del medésimo èssere umano vivente che per diverse fasi intermèdie passa dall’èssere uno zigote all’èssere un neonato. Questa verità è talmente evidente e comunemente acquisita che il frutto del concepimento viene detto in italiano “nascituro”, tèrmine che signífica “che sta per nàscere, che deve nàscere”. Il nato e il concepito, quindi, vanno identíficati. Di conseguenza, ¿come può èssere sostenuto, senza lèdere alla ragione, che questo èssere possa godere della tutela del diritto alla vita, alla cura, alla salute, etc. solo da una certa fase del suo sviluppo e che quindi sia giusto mantenere la dépenalizzazióne dell’aborto? Se uccidere un nato è omicídio per la legge italiana, altrettanto dovrebbe èsserlo l’uccídere un gestato, perché non vi è ragione se non útilitarística ed egoística per amméttere l’uccisione del concepito prima della nàscita, nemmeno per il diritto della donna di godere di un fantomàtico “stato di totale benèssere psicofísico”, peraltro, come ho già detto, tanto illusòrio quanto ingannévole: l’aborto, infatti, non solo non può ottenere alla donna l’illusòrio “stato di totale benèssere psicofísico”, insesitente sulla Terra, ma porta alla donna molto spesso gravi conseguenze psíchiche.

Conclusioni

Cruciani e Parenzo hanno, quindi, torto insieme a tutti quelli che combàttono per l’illusòrio e ingannévole diritto della donna all’aborto, magari facèndolo con slogan che solo mentecatti pòssono ripetere, del tipo: “L’utero è mio e me lo gestisco io”, “il corpo e mio, mia la scelta”, come se dalla dipendenza del concepito dalla madre possa scaturire il diritto della madre a uccídere il pròprio fíglio. Sí, giovane ingannata, l’utero e il corpo è tuo, ma non è certamente tua la fràgile vita che porti in grembo, vita che deve avere l’opportunità di nàscere come tu devi avere l’opportunità di èssere aiutata dallo Stato nella tua gravidanza sia che al tèrmine di essa avrai maturato un senso materno e deciderai di tenerti tuo fíglio, sia che reputerai necessàrio darlo in adozione. E questo perché ogni nuova vita non può che èssere un bene per la società e ¡in quanto tale va tutelato! E tu donna, che hai la prerogativa naturale di gestare le nuove vite umane, devi èssere aiutata in tutto, perché sei estremamente preziosa.

Celsi dunque ha ragione insieme a tutti quelli che combàttono per il reale diritto alla vita del nascituro e per il reale diritto della donna a non tradire sé stessa e la pròpria vocazione naturale di gestante della vita.

E allora, fintanto che in Itàlia vi sarà una legge che permette l’aborto, vi sarà sempre un Giorgio Celsi e un Flaviano Patrizi che con cognizione di càusa pòssono affermare che l’aborto è una pràtica anàloga alla pràtica nazista del dottór Josef Mengele, il quale metteva àrbitrariaménte a morte chi fosse alto meno di un metro e mezzo. ¿E perché vi stupite di tale analogia? ¿Non è forse vero che, mentre sotto il nazismo un solo uomo, Mengele, sosteneva che un èssere umano più basso di 150 centimetri potesse èssere ucciso, sotto l’ègida della nostra cultura progressista e tollerante milioni di persone sostèngono con la medésima arbitràrietà che si possa méttere a morte un èssere umano piú basso di 5 centimetri, essendo questa l’altezza di un feto di 12 settimane?

¡È ora che i sarcàstici istrioni comprèndano che il format irriverente della loro trasmissione non è certamente cònsono alla trattazione di una temàtica come quella dell’aborto cosí decisiva per l’umanità intera! Ed è anche ora di smétterla di ingannare le donne! La legge 194/’78 va rivista.

Mi àuguro che la fasulla permissione fatta alle donne di uccídere útilitaristicaménte ed égoisticaménte i proprî figlî nel pròprio ventre venga abolito e che la legge 194/’78 possa veramente diventare una legge che contenga vere “Norme sulla tutela sociale della maternità”, che prevédano tutti gli aiuti necessarî alla donna per vívere in serenità la gestazione di una nuova vita nascente, índipendenteménte dal fatto che vòglia o non vòglia dare il pròprio fíglio in adozione dopo il parto.


Note

[1] Quadro di scollamento dalla realtà di natura psichiàtrica che si sviluppa ímmediataménte dopo l’aborto e può durare oltre i sei mesi.

[2] Si sviluppa a partire dai tre ai sei mesi dopo l’aborto e presenta i síntomi típici dei rèduci del Vietnam: risveglî notturni, íncubi, tachicardia, aumento dell’ànsia, allucinazioni olfattive, uditive, visive, pensieri e immàgini intrusive (flashback), irritabilità o scoppi di còllera, difficoltà a concentrarsi, ípervigilànza, esagerate risposte di allarme, somatízzazióni.

[3] Può insorgere sia súbito dopo l’evento aborto ma anche a distanza di anni, persino decenni, con incapacità di provare emozioni, distacco dagli affetti, disturbi della cómunicazióne, disturbi del pensiero, disturbi dell’àlimentazióne, disturbi della sfera sessuale, disturbi nèurovegetatívi, disturbi fòbici, disturbi d’ànsia, depressione, pensieri suicidarî, tentativi di suicídio, disturbi del sonno, inízio o aumento di sostanze stupefacenti, alcol o psicofàrmaci. Sebbene già nel 1981 Vincent Rue dava una definizione della Post Abortion stress syndrome, il tèrmine non è accettato né dall’American Psychologic Association né dall’American Psychiatric Association. Anche se la PAS non compare come categoria nei manuali diagnòstici, i síntomi a cui è associata riéntrano comunque all’interno del Disturbo post-traumàtico da stress.

[4] Art. 6: L’interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni, può essere praticata: a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna; b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.

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