Il sacerdote che rifiuta la comunione ad un fedele perché è in ginòcchio commette un abuso di potere poiché tale azione è contrària alla legislazione litúrgica vigente. Qualunque motivazione il sacerdote portasse a giustificazione del suo rifiuto sarebbe quindi arbitrària e illegíttima.
Ecco i documenti che pròvano quanto ho scritto.
Il n. 160 par. 2 della Istitutio generalis Missalis Romani (it.: Ordinamento Generale del Messale Romano) stabilisce che:
«I fedeli si comúnicano in ginòcchio o in piedi, come stabilito dalla Conferenza Episcopale».
Siccome qualche vescovo fu indotto dalla laconicità della frase appena citata a pensare che spettasse alle Conferenze Episcopali decidere se i fedeli dovessero comunicarsi in piedi o in ginocchio, la Congregazione per il Culto Divino e la disciplina dei sacramenti specificò il 25 marzo 2004 al n. 91 della istruzione Redemptionis sacramentum che:
«non è lecito negare a un fedele la santa comunione, per la semplice ragione, ad esempio, che egli vuole ricevere l’Eucaristia in ginocchio oppure in piedi».
Correggendo quindi l’errore interpretativo di alcuni vescovi.
L’attuale legge liturgica quindi legittima entrambe le modalità di ricezione della comunione eucaristica e lascia libero il fedele di eleggere quella che sente più consona alla sua spiritualità.
Per cui ripeto: il sacerdote che rifiuta la comunione ad un fedele inginocchiato commette un abuso di potere e qualunque motivazione portasse per giustificare il suo rifiuto sarebbe arbitraria e illegittima.