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La càusa immanente della dilagante idelogia di génere [prima parte]

Molti cristiani intuíscono che nella promulgazione di alcune nuove leggi che hanno a che fare con un nuovo concetto di famíglia, con la comprensione della natura del matrimonio, la genitorialità, l’orientamento sessuale e di gènere, l’educazione, etc., c’è qualcosa di perverso, di ingiusto per definizione e di contràrio alla natura umana, ma confacente ad una nuova antropologia che da orígine ad un nuovo umanésimo anti-cristiano. Nonostante l’evidente comun denominatore dell’ideologia di gènere, che accomuna queste leggi, e l’intuizione che una tale ideologia non possa èssersi imposta a livello globale in modo spontàneo ― come se fosse il normale sviluppo dell’umanità ―, e identificando giustamente in Sàtana la causa trascendente di questo fenòmeno culturale, valoriale e di conseguenza giurídico, non comprendono tuttavia quale possa essere la sua càusa immanente. Non sanno cioè quale gruppo di potere diriga da dietro le quinte questo sfacelo.

Con dati documentali alla mano cercherò in questo mio artícolo, che prende come base il testo di una conferenza dello stòrico spagnolo Alberto Bárcena Pérez, di fare chiarezza.  Tutti allora potranno identificare l’orígine immanente unitària di questo fenòmeno, orígine già evidente nell’immagine di testa dell’articolo, per chi conosce la simbologia.

Verrà delineato uno scenàrio veritiero, ma estremamente tràgico. Con ciò non desídero allarmare per allarmare, ma credo che sia necessàrio favorire la presa di coscienza di ciò che sta succedendo a livello globale. Solo così, infatti, sarà possíbile facilitare la formazione nei mei lettori di una disingannata coscienza política ed ecclesiale, che li renda maggiormente capaci di discérnere il bene dal male, ciò che viene da Dio e ciò che viene dal suo avversàrio, chi difende i diritti di Dio e chi li combatte. Potranno allora evitare il male e fare e difendere il bene in questa che è veramente una battàglia epocale in cui è in ballo non semplicemente una istituzione come la famíglia ma la natura stessa dell’uomo.

«Nella lotta per la famíglia ― diceva il papa Benedetto XVI ― è in gioco l’uomo stesso. E si rende evidente che là dove Dio viene negato, si dissolve anche la dignità dell’uomo. Chi difende Dio, difende l’uomo»[1].

Prima di lasciarvi alla lettura dell’artícolo vorrei farvi una raccomandazione: leggete anche le note perché in esse non troverete solo rimandi bibliogràfici, ma anche un approfondimento del testo.

Indice

L’ideologia di gènere
I nuovi diritti umani propugnati dall’ONU
La conferenza di Il Càiro (1994)
La conferenza di Beijing (1995)
La conferenza di Istanbul (1996)

L’ideologia di gènere

Innanzitutto chiariamo, per chi ne avesse bisogno, cosa sia la “ideologia di gènere”. Come índica il nome stesso, l’ideologia di gènere (en.: gender theory) è un’ideologia che da un punto di vista cristiano rappresenta una “nuova eresia antropologica” riassumibile con la famosa affermazione riferita al “ruolo di gènere” della scrittrice francese, bisessuale e femminista, compagna del filosofo ateo Jean Paul Sartre, Simone de Beauvoir:  “Donna non si nasce, lo si diventa” (fr.: “On ne naît pas femme, on le devient”).

«In queste parole ― disse il papa Benedetto XVI ― è dato il fondamento di ciò che oggi, sotto il lemma “gender”, viene presentato come nuova filosofia della sessualità. Il sesso[2], secondo tale filosofia, non è più un dato originàrio della natura che l’uomo deve accettare e riempire personalmente di senso, bensì un ruolo sociale del quale si decide autonomamente, mentre finora era la società a decídervi. La profonda erroneità di questa teoria e della rivoluzione antropològica in essa soggiacente è evidente. L’uomo contesta di avere una natura precostituita dalla sua corporeità, che caratterizza l’èssere umano. Nega la pròpria natura e decide che essa non gli è data come fatto precostituito, ma che è lui stesso a creàrsela. Secondo il racconto bíblico della creazione, appartiene all’essenza della creatura umana di èssere stata creata da Dio come màschio e come fémmina. Questa dualità è essenziale per l’èssere umano, così come Dio l’ha dato. Proprio questa dualità come dato di partenza viene contestata. Non è più vàlido ciò che si legge nel racconto della creazione: “Màschio e fémmina Egli li creò” (Gen 1,27). No, adesso vale che non è stato Lui a crearli màschio e fémmina, ma finora è stata la società a determinarlo e adesso siamo noi stessi a decídere su questo. Màschio e fémmina come realtà della creazione, come natura della persona umana non esístono più. L’uomo contesta la pròpria natura. Egli è ormai solo spírito e volontà. La manipolazione della natura, che oggi deploriamo per quanto riguarda l’ambiente, diventa qui la scelta di fondo dell’uomo nei confronti di se stesso. Esiste ormai solo l’uomo in astratto, che poi scéglie per sé autonomamente qualcosa come sua natura. Maschio e femmina vengono contestati nella loro esigenza creazionale di forme della persona umana che si integrano a vicenda»[3].

Quella gender (o di gènere) è dunque un’ideologia; è cioè una dottrina non scientifica, che procede con la sola documentazione intellettuale e senza troppe esigenze di puntuali riscontri materiali, sostenuta per lo più da atteggiamenti emotivi e fideistici, e tale da riuscire veicolo di persuasione e propaganda. È infatti pròprio l’ipersensibilità al giudízio altrui che spinge la comunità LGBTQ a scendere nelle piazze culturali per combattere la ridicola “lotta dei sessi”, che sostituendosi alla “lotta di classe” tradisce il suo essere stata disegnata chiaramente da una orígine marxista. La loro “lotta dei sessi” mira alla folle creazione di una distòpica società fatta a immagine e somiglianza della comunità LGBTQ, nella quale essa possa sentirsi “normale” e accettata. L’efficacia della sua propaganda sarebbe però ben poca cosa, se l’ideologia di gènere non fosse uno degli strumenti fondamentali per portare a compimento l’attuale processo di ingegneria sociale in mano ai “discreti” poteri massonici mondialisti e alle organizzazioni da loro utilizzate. Questo processo di ingegneria sociale mira:

  • alla drastica diminuzione della popolazione mondiale,
  • alla diffusione di un nuovo paradigma umano
  • che da vita a un nuovo umanesimo con i suoi valori e diritti, molti dei quali anti-cristiani,
  • e all’instaurazione di un governo mondiale[4].

Per vedere come questi poteri “discreti” sono giunti a diffondere l’ideologia di gènere dobbiamo guardare il processo di introduzione dei nuovi diritti umani propugnati dall’ONU e successivi a quelli del 1948.

I nuovi diritti umani propugnati dall’ONU

I nuovi diritti umani a cui faccio riferimento sono i “diritti riproduttivi e sessuali“. I primi ruotano attorno all’autodeterminazione e alla libera scelta della donna; contraccezione e aborto sono l’espressione più comune, ma viene in essi incluso anche l’infondato “diritto al figlio”; i secondi tendono, invece, a sostituire l’universale divisione dei sessi (maschile e femminile) a favore di una più ampia concezione di gènere. Nella falsa narrazione proposta dai loro fautori, essi dovrebbero essere una ampliamento di diritti già compresi nella Dichiarazioni Universale dei Diritti Umani[5], ampliamento apparentemente animato da grande tolleranza, ma in realtà sostenuto da ben altre intenzioni visto che il loro riconoscimento implica il restringimento o la soppressione di diritti umani già riconosciuti.

Con la diffusione di questi nuovi diritti, che sono in grande misura diritti individuali, si ottiene:

  • il calo della “fertilità” e quindi della natalità, entro i límiti che i loro fautori consíderano opportuni o necessari per ciò che loro chiàmano sostenibilità. La sovrappolazione è uno dei problemi che più preòccupano i mondialisti perché da un ottica malthusiana[6] credono che il numero degli abitanti del pianeta Terra ecceda di due terzi la quantità ideale;
  • e un profondo càmbio del paradigma umano e della società funzionale ai loro scopi.

I nuovi diritti umani riproduttivi e sessuali sono andati affermàndosi ed estendèndosi nel mondo per mezzo di alcune conferenze organizzate dall’Organizzazione delle Nazioni Unite (in sigla it.: ONU) fin dagli anni ’90. Questo fenomeno emerge, quindi, poco dopo la caduta del muro di Berlino (9 novembre 1989), símbolo del tèrmine della guerra fredda. Proprio quando si poteva tirare un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo di una guerra nucleare, sempre sul punto di scoppiare, la popolazione mondiale veniva esposta ai pericolosi “obiettivi” proposti nelle conferenze ONU per risolvere i problemi mondiali della popolazione, dello sviluppo e della condizione femminile. La popolazione mondiale veniva con ciò esposta al terribile pericolo della demolizione della società occidentale e della cancellazione delle sue residuali tracce di cristianesimo scampate alle precedenti campagne distruttive. I fautori di questi obiettivi ammettono apertamente infatti che essi non potranno raggiungersi senza la previa eliminazione della cellula primordiale della società, e cioè: la famiglia tradizionale, quella formata da un papà, da una mamma e dalla loro prole, che nei documenti ONU precedenti gli anni novanta era giustamente descritta come:

«unità di base della società e l’ambiente naturale per la crescita e il benessere di tutti i suoi membri, in particolare bambini e giovani, (e che) dovrebbe essere assistita e protetta in modo da poter assumere pienamente le proprie responsabilità all’interno della comunità» (Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Dichiarazione sul progresso e lo sviluppo sociale, 1966). 

Nei documenti degli anni novanta la famiglia tradizionale è vista come un’entità da sostituire con i “nuovi modelli” di famiglia.

Questo progetto di brutale ingegneria sociale venne discusso primariamente in organizzazioni internazionali e non nei vari parlamenti statali democràtici per il sémplice fatto che nei parlamenti non avrébbero potuto superare il filtro della discussione parlamentare e sarèbbero stati quindi scartati sul nàscere. Nelle organizzazioni internazionali, invece, non essèndo presente un parlamento democraticamente eletto i cui parlamentari dovrébbero rèndere conto al pòpolo che lo ha eletto, si agisce con molta più libertà all’insaputa dei pòpoli. Ciò che si dibatte in queste conferenze non esce mai alla stampa. Essa ci informa solo degli aspetti esterni o folklorístici; di ciò che dà titolo ad assi come: lo sviluppo, la popolazione, la condizione femminile, ma non del reale dibàttito, non di ciò che precisamente diféndono alcune strategie, alcune coalizioni che òperano all’interno di queste organizzazioni. I documenti preparatori e conclusivi prodotti da tali conferenze méttono, però, nero su bianco i loro progetti, uno dei quali riguarda il cambiamento della società mondiale e vèngono utilizzati i tèrmini di ingegneria sociale o re-ingegneria sociale con una tranquillità assoluta, con la tranquillità di coloro che sanno di poter godere di una impunità derivante dalla mancata diffusione al largo pubblico dei documenti da loro prodotti. Raccontare ciò che hanno prodotto queste conferenze ci aiuterà a comprendere che l’ideologia di gènere non sta diffondendosi e rafforzandosi nelle nazioni in modo casuale, ma che dietro c’è tutto un progetto internazionale di un peso realmente difficile da contrastare.

La conferenza di Il Càiro (1994)

La conferenza di Il Càiro si è svolta nella città egiziana nel 1994. A Il Càiro le delegazioni di moltíssime nazioni si riunírono per la convocazione e sotto la protezione dell’ONU al fine di discutere di popolazione e sviluppo. Ciò che viene prospettato da questa conferenza è la messa in moto di un sistema totalitàrio con invasione della sfera privata ― questa è propriamente una delle caratterístiche di un sistema totalitàrio ― che imponga l’ideologia di gènere, influendo così nel modello di famíglia e nei modelli comportamentali delle persone.

Nelle 120 pàgine del documento finale[7] della conferenza di Il Càiro solo 12 trattato di popolazione e sviluppo. Il resto del documento tratta, invece, di come si sarebbe potuto cambiare la famíglia, e cioè: disfarla, privarla completamente di diritti fino a prospettare la scomparsa della patria potestà. E questo è andare più lontano di ciò che i vari sistemi totalitari susseguitisi nella storia abbiano mai fatto. In che modo hanno pensato di attuarlo? Sopprimendo dalle legislazioni internazionali qualsíasi riferimento ai diritti-doveri educativi dei genitori in matèria di educazione, riproduzione e sessualità dei figli minori a vantàggio dei nuovi diritti riproduttivi, come per esempio il diritto alla piena sessualità del minore[8].

Capiamo bene che, essendo tali temàtiche non accettàbili dall’opinione púbblica mondiale degli anni novanta, si è visto bene di lavorare affinché gli òrgani di informazione dòcili ai disegni di chi promuoveva queste conferenze fungéssero da veri e proprî òrgani di disinformazione di massa, spostando l’attenzione sugli aspetti esterni o folklorístici della conferenza. Per comprèndere i veri contenuti della conferenza di Il Càiro non possiamo attíngere, quindi, alla stampa, ma ai documenti preparatori e finali ufficiali e ai testi di pochíssimi specialisti come il sacerdote argentino Juan Claudio Sanahuja.

Il presidente degli Stati Uniti di allora, Bill Clinton, avendo fatto sua la càusa del nuovo còdice dei diritti umani, sollecitò la sua delegazione affinché nella riunione preparatòria, che si sarebbe svolta a New York[9], ottenessero che nella futura conferenza di Il Càiro venisse dichiarato come fondamentale diritto umano universale il diritto all’aborto, cioè la sua liberalizzazione assoluta; un diritto al quale la persona potesse accedere e lo si riconoscesse tanto basilare quanto fino ad allora era riconosciuto tale il diritto alla vita. Sapendo ciò, il papa Giovanni Paolo II inviò alla riunione preparatoria una delegazione. Tale riunione era presieduta dal rappresentante del Gahna, il dottor Fred T. Sai[11], il quale era niente meno che il fondatore della Planned Parenthood Association of Ghana. La Planned Parenthood era ed è tuttora la maggior organizzazione abortista degli Stati Uniti organizzatasi in un una federazione mondiale di cliniche abortiste (IPPF, International Planned Parenthood Federation), una grande impresa della famiglia Rockfeller in verità. Che il dott. Sai fosse il presidente della riunione preliminare non comparve in nessun giornale, pur essendo una notizia rilevante almeno sotto il punto di vista del conflitto di interessi implicato. Ne rimane, però, traccia in una pagina nel sito dell’ONU. Il dott. Sai silurò l’azione della Santa Sede; ridicolizzando anche i suoi rappresentanti quanto poté, sapendosi sostenuto dalla commissione americana che comandava a bacchetta l’offensiva per i nuovi diritti e la legalizzazione dell’aborto.

Nonostante fosse stata affidata la presidenza dei principali comitati della conferenza di Il Càiro al dott. Sai, che aveva perciò facoltà di modellare il dibàttito a suo piacere, il progetto preliminare[12] fallí grazie al fatto che san Giovanni Paolo II aveva realizzato una campagna demolitrice previa: nei suoi discorsi in piazza San Pietro parlò per diverse settimane di vita, diritto alla vita, famiglia e matrimonio; in definitiva parlò di tutto ciò che si voleva distrúggere nella conferenza di Il Càiro. Il progetto fallí anche per l’opposizione di molte delegazioni del terzo mondo: avévano, infatti, compreso che pròprio loro sarébbero stati i primi destinatari delle restrizioni legislative riguardanti la natalità, la famíglia e i diritti fondamentali. La loro opposizione, però, era destinata a pérdere forza a càusa della loro vulnerabilità econòmica. Sapendo ciò, infatti, l’ONU subòrdina i proprî aiuti umanitari ad essi destinati alla prèvia accettazione delle polítiche antinataliste (sterilizzazione massiva e aborto líbero). Nella conferenza successiva, svoltasi a Beijing (it. Pechino) e dedicata alla donna, il terzo mondo dunque “brillò” per la sua omissione della difesa di questi diritti.

La Chiesa Cattòlica guidata da Giovanni Paolo II, quindi, era l’único scoglio che poteva arginare con costanza l’imposizione di questa ideologia a livello mondiale e rimase salda nella sua opposizione sostenuta dalle menti sane che continuàvano ad operare all’interno di queste organizzazioni. La conferenza di Il Càiro non riuscì, dunque, a far tradurre in legislazioni nazionali concrete le loro dichiarazioni di intenzioni o linee di attuazione salvo che in alcuni casi,

La conferenza di Beijing (1995)

Nel 1995 il papa Giovanni Pàolo II, consapèvole che in questa conferenza sulle donne, come nella precedente, venívano messi in discussione dei diritti umani basilari, pose a capo della delegazione della Santa Sede una donna, cattedràtica della Harvard University, esperta in diritto internazionale e diritti umani, Mary Ann Glendon, da lui nominata l’anno precedente come prima donna a presiedere un organismo pontificio: il Pontificio Consiglio per le Scienze Sociali. La sua preparazione la rendeva immune all’ingannèvole trattazione del tema dei diritti. Alla vigília della conferenza di Beijing, Giovanni Pàolo II era tornato a parlare con forza di vita, matrimònio, famíglia, favorendo così la costituzione di un ambiente culturale sensíbile alla difesa dei diritti umani auténtici e convocò in Vaticano due giorni prima della partenza per Beijing la Glendon e Joaquín Navarro-Valls, direttore della sala stampa della Santa Sede, anche lui facente parte della delegazione che doveva andare a Beijing. Giovanni Paolo II era visibilmente preoccupato e disse semplicemente, con la sua sòlita visione soprannaturale delle cose: “Bisogna pregare di più” e diede loro unicamente una direttiva: “Se qualcosa non andasse bene, cercate rifugio nel popolo”. Era una frase críptica che avrébbero dovuto decifrare all’occorrenza. Era chiaro che qualcosa non sarebbe andato per il verso giusto. La delegazione della Santa Sede ci mise solo due giorni di conferenza per compréndere a cosa si riferisse il papa. La conferenza di Beijing era il tentativo di recuperare l’agenda fallita a Il Càiro: distruzione della famíglia, imposizione di nuovi diritti, liberalizzazione dell’aborto. Era la medésima agenda, difesa questa volta da una coalizione europea. Il presidente Clinton, la sua amministrazione e la sua delegazione si erano infatti già troppo esposti ed avevano passato il testimone ai loro alleati. Essi formàrono una coalizione comprendente tutte le nazioni dell’unione Europea con l’aggiunta di altre, come per esèmpio il Cànada o il Sudàfrica, per dare l’impressione di èssere espressione di un pensiero più universale. La delegazione della Santa Sede per mezzo dell’intervento della Glendon[13] denunciò súbito quanto i nuovi diritti che si volévano imporre erano in contrasto con i diritti già riconosciuti dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (1948). Nella bozza del Piano di Azione di Beijing:

  • si ometteva infatti il riferimento alla dignità umana come fondamento della libertà, della giustizia e della pace;
  • non si presentava il matrimonio come diritto fondamentale,
  • e non ci si riferiva alla famiglia come cellula naturale e fondamentale della società;
  • il matrimonio e la famiglia erano considerati sotto una luce negativa, come un impedimento alla realizzazione delle donne, associati alla violenza;
  • i riferimenti alla maternità erano marginali o negativi, i termini “madre” e “maternità” sono considerati riduttivi per la piena dignità della donna. Nel 1948 invece maternità e infanzia erano stati riconosciuti come soggetti di uno speciale diritto di cura e protezione;
  • si tentava infine di cancellare ogni riferimento alle religioni, se non in relazione all’intolleranza e all’estremismo, mentre nella Dichiarazione del 1948 era stato riconosciuto il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione.

Inoltre la Glendon espresse le preoccupazione della delegazioni della Santa Sede circa la tendenza a considerare i problemi della salute della donna principalmente come problemi legati a sessualità e “riproduzione”, trascurando altri seri problemi di salute femminile legati alla povertà, come la denutrizione, il problematico accesso all’acqua potabile, la situazione di precarietà di molte donne nel portare avanti la gravidanza e la maternità. La Glendon denunciò anche il silenzio assoluto sulle sofferenze causate, soprattutto alle donne, dalla diffusione della mentalità del permissivismo sessuale.

Consapevoli che i reali interessi dei popoli, che sarébbero dovuti èssere presentati nella conferenza, èrano relegati al màrgine delle disquisizioni e che a insaputa dei pòpoli stessi si voleva loro imporre un sistema di valori totalmente contràrio alla natura umana, commettendo un eclatante sopruso; comprendendo, inoltre, che l’imposizione di certe ideologie per mezzo di queste conferenze passasse attraverso la progettata disinformazione ― motivo per cui lo storico spagnolo Alberto Bárcena Pérez ha iniziato a profóndersi in questa specífica òpera di informazione ― Joaquín Navarro-Valls e la dottoressa Glendon decísero di avvisare la stampa mondiale. Redàssero un rapporto informativo elencante le contraddizioni su menzionate e il portavoce Navarro Valls lo comunicò in una dichiarazione alla stampa sabato 9 settembre 1995. In esso tra l’altro si specificava che:

«I partecipanti alla Conferenza di Pechino non hanno l’autorità di minare i pilastri della tradizione dei diritti umani»[14].

Lo inviàrono poi per fax ai principali mezzi di informazione europei. Alcuni non lo vóllero pubblicare ― chiaro ―, ma la maggior parte lo fece. Era per essi una omissione troppo compromettente in quelle circostanze. La diffusione della dichiarazione di Navarro-Valls fece sì che in ogni parlamento delle differenti nazioni europee non mancassero gruppi che interpellavano i propri governi al fine di chiedere spiegazioni in riferimento all’avallo che le proprie delegazioni nazionali presenti a Beijing pareva volessero dare alle dichiarazioni risolutive contenute nel testo finale in discussione alla Conferenza. La Glendon e Navarro-Valls riuscirono alla fine nel loro intento: bloccare l’agenda di Beijing che riproponeva quella de Il Càiro. Nei documenti finali[15] si attenuò questa tendenza a mettere in discussione la tradizione dei diritti umani. Sarebbe, però, sottovalutare la tenacia di coloro che volevano realizzare queste politiche il pensare che una tale sconfitta li avesse fatti desistere, tutt’altro. Nel documento finale della IV Conferenza rimase infatti un’ambiguità di tèrmini che dà la stura a interpretazioni imbevute di ideología. Visto che è sotto gli occhi di tutti che la realizzazione negli anni della Piattaforma d’Azione di Pechino ha privilegiato l’interpretazione anti-vita (contraccezione e aborto), anti-famiglia (famiglie “arcobaleno”) e ha perpetuato il tentativo di cambiare i paradigmi culturali (ideologia di gènere), si capisce che quella di utilizzare tèrmini ambigui è stata una tàttica súbdola per ottenere dalle delegazioni nazionali la firma sui documenti finali, anche se con riserva come fece la Santa Sede[16], e nel contempo per dare la possibilità ai poteri forti dietro l’ONU, cioè la massoneria, di agire come avevano programmato sfruttando a loro vantaggio i movimenti femmisti e lgbt[17].

La conferenza di Istanbul (1996)

L’anno successivo alla conferenza di Beijing ci fu la “Conferenza habitat 2” di Istanbul (1996). Nel documento preparatòrio il segretàrio generale della conferenza, Wally N’Dow, indicò nel “cambio dello stile di vita” l’obiettivo da conseguire nella conferenza. L’espressione non era nuova. Era già presente nei documenti di Il Càiro e Beijing, ma qui venne esplicitata. Il cambiamento deve concèrnere il sistema di valori e la famiglia. La famiglia tradizionale deve èssere rimpiazzata da altri modelli di unione da determinare. Afferma anche che questo cambiamento da attuare è un vero “processo di ingegneria sociale”. La stessa cosa ammise o “confessò” Adrienne Germain, già componente della delegazione americana nel vèrtice di Il Càiro e di Beijing e all’epoca presidente della coalizione internazionale per la salute della donna e membro dell’agenzia internazionale svedese per la cooperazione dello sviluppo:

«Ad opera degli Stati Uniti verso la fine degli anni 50 si formarono professionisti in popolazione, nel campo della politica, l’investigazione e lo sviluppo di programmi e in problemi di popolazione internazionali, per controllare la crescita della popolazione nei paesi in via di sviluppo: Asia, Africa e Latino America. L’obiettivo è ridurre l’alto tasso di fertilità. L’agenda di Il Càiro si focalizza verso una ampia re-ingegneria sociale».

Quello di “ingegneria sociale” è il nome corretto da dare a ciò che vògliono fare per raggiúngere la riduzione della popolazione mondiale e stabilizzare il risultato nel tempo. Sanno che non è sufficiente diffòndere la contraccezione e l’aborto nel terzo mondo, ma bisogna agire molto più in profondità nella cultura mondiale cambiando la visione dell’uomo e lo afférmano con tutta la sfacciatàggine possíbile:

«perché siano efficaci a lunga scadenza, i programmi di pianificazione famigliare devono cercare non soltanto di ridurre la fertilità all’interno dei ruoli di genere esistenti, quanto piuttosto di cambiare i ruoli di genere con lo scopo di ridurre la fertilità»[18].

Dévono quindi distrúggere la famíglia tradizionale, quella costituita da un uomo e una donna che, uniti in matrimònio, gènerano ed èducano nuove vite umane rimpiazzàndola con un altro modello di famíglia che non ha la capacità di generare nuove vite.

L’ideologia di gènere è portatrice di un sistema valoriale in contrasto con il cristianésimo ed è utilizzata per distrúggerlo, o meglio: per distruggere ciò che è rimasto di esso dopo la pioggia àcida che le società cristiane europee hanno sopportato per sècoli. I fautori di questo piano sèntono la necessità di sradicare il cristianésimo per via legale facendo sì che sempre più governi recepíscano nei còdici legislativi nazionali, attraverso leggi positive e coercitive, l’ideologia di gènere. Questo tentativo di cambio del paradigma umano e dell’instaurazione di un pensiero único, di un nuovo umanesimo, ci pone alle porte di un totalitarismo nuovo più minaccioso di qualunque altro.

Desídero chiúdere questa prima parte del mio artícolo rispondendo alla domanda che molti lettori si saranno posti, e cioè: “Cosa dobbiamo fare?”. La risposta è semplice: siate úmili cristiani che àmano Gesù obbedèndogli fino al sacrifício estremo. Saremo allora come nuovi Dàvide che sconfiggono i nuovi Golia, con la consapevolezza che la nostra vittòria piena ben poche volte si realizza nel nostro tempo terreno, ma sempre nell’eternità. [continua…]


Note

[1] Benedetto XVI, Messaggio alla curia Romana (21 dicembre 2012).

[2] Con il sostantivo maschile “sesso” Benedetto XVI si riferisce al sesso biologico, cioè al complesso dei caratteri anatomici, morfologici, fisiologici che negli esseri umani detèrminano e distínguono i maschi dalle femmine e viceversa. Qualora un bambino nascesse con malformazioni anatomiche a livello genitale tali da rendere incerta la determinazione del suo sesso, esso sarebbe comúnque determinàbile a livello cromosòmico visto che i maschi hanno cromosomi sessuali XY, mentre le femmine XX. Nell’uomo, come in tutti i mammiferi, la determinazione sessuale avviene nell’istante della fecondazione.

[3] Benedetto XVI, Messaggio alla curia Romana (21 dicembre 2012).

[4] Di questo argomento non tratterò nell’artícolo. Accenno solo qui ad uno degli strumenti utilizzati per raggiúngere questo scopo: la pilotata immigrazione clandestina di massa in suolo europeo. Con essa si mira alla sostituzione dei pòpoli europei e alla conseguente caduta dell’identità nazionale e quindi del legíttimo sovranismo, affinché possa èssere più fàcile introdurre globalmente un pensiero omogèneo avente i proprî valori morali e religiosi e di conseguenza un proprio diritto conforme al nuovo umanesimo mondialista.

[5] La Dichiarazioni Universale dei Diritti Umani venne approvata e proclamata il 10 dicembre 1948 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Clicca qui per leggere il testo integrale in lingua italiana.

[6] Malthus Thomas Robert, economista e demografo inglese (Rookery, presso Guilford, Surrey, 1766 – Haileybury, Hertfordshire, 1834). Per approfondimento vai alla voce “Malthus Thomas Robert” della Enciclopedia Treccani.

[7] Il documento finale della conferenza di Il Cairo è intitolato: “Programma di Azione della Conferenza Internazionale su Popolazione e Sviluppo”, A/CONF.171/13/Rev.1 (1995). Il testo non è in lingua italiana perché purtroppo nel sito dell’ONU si trovano documenti scritti solo nelle sei lingue ufficiali dell’ONU: inglese, francese, spagnolo, russo, cinese e arabo.

[8] Cfr. Human Rights Committee dell’ONU, Trattato dei comitati delle Nazioni Unite, Ginevra 2001.

[9] Vd. Arturo Zampaglione, “Clinton dice no a Wojtyla”, in Repubblica 27/04/1994. Si noti come nell’articolo Zampaglione dà per scontato che alla conferenza di Il Cairo si sarebbe firmata la bozza del Piano di Azione di New York (per leggere il testo vedi qui nota 12).

[10]Negli stati in cui l’interruzione volontaria di gravidanza su richiesta della donna è legale, come l’Italia, si può effettuare solo entro un dato periodo di tempo. Scaduto questo viene concessa solo in casi più rari, a discrezione del medico e in presenza di gravi malformazioni del feto o di rischio per la salute della donna. Il termine temporale varia considerevolmente a seconda della legge dello stato. In molti paesi, come l’Italia, il termine è la dodicesima settimana di gestazione. Il presupposto per la richiesta dell’aborto è la maggiore età o il permesso dei genitori o tutori per le minorenni. Quando, perciò, si afferma di volere l’aborto “senza termini e presupposti”, si intende un ulteriore ampliamento di questa già abominevole legge, che permetterebbe la sua praticabilità per tutto il periodo della gestazione anche a richiesta delle minorenni senza il consenso dei propri genitori.

[11] Fred T. Sai, medico accademico ghanese e medico di famiglia. Si rimanda alla pagina Wikipedia a lui dedicata.

[12] Qui è possibile leggere una copia del Proyecto de programa de acción de la Conferencia. Il capitolo VII è dedicato a “Diritti riproduttivi, salute riproduttiva e pianificazione famigliare”.

[13] Mary Ann Glendon, Intervento alla IV Conferenza mondiale sulla donna, Beijing, 5 settembre 1995 [spagnolo].

[14] Vd. Carlo De Lucia, Non minare i pilastri della tradizione dei diritti umani: dichiarazione della Delegazione della Santa Sede alla Quarta Conferenza Mondiale sulla Donna a Pechino, in: “L’Osservatore Romano”, 10 settembre 1995, p.1 e 5.

[15] I documenti finali sono: La Dichiarazione di Pechino e la Piattaforma d’Azione [spagnolo]. Per una traduzione non ufficiale in lingua italiana vedi qui.

[16] «La posizione della Santa Sede quando la Conferenza volse al termine si presentava difficile. I documenti per alcuni aspetti erano stati migliorati. Ma sotto altri punti di vista erano ancor più deludenti del documento del Cairo, che la Santa Sede aveva sottoscritto solo in parte e con molte riserve esplicite. […] La delegazione della Santa Sede aderì in parte, con alcune riserve, ai documenti della Conferenza. Come al Cairo, riaffermò le sue ben note posizioni sull’aborto e sui metodi di pianificazione familiare. Non poté accettare in nessun modo la sezione sulla “salute”. […] Tenuto conto delle disposizioni ricevute dal Santo Padre, di rigettare risolutamente ciò che era inaccettabile, la mia relazione finale a nome della Santa Sede fu fortemente critica riguardo ai documenti per i gravi difetti rimasti e che la nostra delegazione aveva tentato fin dall’inizio di denunciare e di migliorare» (Mary Ann Glendon, What happened at Beijing, in “First Things” 59, gennaio 1996, p. 30-36).

«La Santa Sede desidera associarsi al consenso soltanto negli aspetti dei Documenti che considera positivi e al servizio del reale benessere delle donne… Numerosi punti dei Documenti sono incompatibili con ciò che la Santa Sede e altri Paesi considerano favorevoli alla vera promozione della donna» (Consenso parziale della Santa Sede ai Documenti di Pechino, in: “L’Osservatore Romano”,16 settembre 1995, p. 1).

[17] “Lgbt” è l’acronimo dei termini: lesbiche, gay, bisessuali e transgender. In senso stretto si riferisce alle persone aventi le orientazioni sessuali e le identità di gènere espresse dall’acronimo e alle comunità da esse formate. Consiglio la lettura del mio articolo intitolato L’ideologia di genere e l’amorevole e ferma resistenza cristiana.

[18] Division for the Advancement of Women (DAW), Gender Perspective in Family Planning Programmes, 1992, p. 423. Testo preparato per “The Expert Group Meeting on Family Plannig, Healt and Family Well-Being“, Bangalore (India) 26-30 ottobre 1992; organizzato in collaborazione con United Nations populations Fund (UNFPA).

1 pensiero su “La càusa immanente della dilagante idelogia di génere [prima parte]

  1. […] A tal proposito si veda il mio saggio “La càusa immanente della dilagante ideologia di gènere” […]

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