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Omelia: III Doménica di Quaresima | Anno C

Letture della messa del giorno

Tutto quello che succede nel mondo: di bello per volontà e assistenza di Dio; e di brutto, per permissione e onnipotenza di Dio, serve ad ammaestrarci e ad ammonirci; a confermarci e anche a corrèggerci.

Per ciò, quando l’uomo non vuole farsi istruire e assístere dal Signore, che è Sommo bene, finirà per farsi male e per fare male: o per il cattivo uso della pròpria libertà; o perché pensava la morte e il giudízio lontani; o perché non ha saputo cògliere il significato delle sventure e delle catàstrofi, dei flagelli e dei dolori che vedeva fuori di sé.

In questa Doménica vediamo tutto questo sotto la lente di ingrandimento del Vangelo, che oggi ci parla di CONVERSIONE per non rovinarci la vita.

Partiamo da questa verità, per tenere al giusto posto le altre, sennò rischiamo di non capire la permissione di Dio in che cosa consista e il castigo di Dio che cos’è.

Chiediàmoci súbito se Dio, oltre che perméttere il male perché può trarne un bene piú grande, lo castighi anche. Dio castiga il male? (e quando dico “male”, intendiamo pure “il peccato”!). La risposta è sí, e lo fa in tre modi: nella coscienza, nella salute e nelle nazioni.

NELLA COSCIENZA IL CASTIGO PER IL PECCATO SI MANIFESTA COL RIMORSO E CON LA PÈRDITA DELLA VERA GIÒIA. Dio non ismette di rimproverare amorevolmente in noi un’ingiustízia; non ci fa sentire a posto; e ci fa percepire súbito che il male ha spezzato un legame con lui e con la giòia; ci porta sempre a considerare che ci manca “qualcosa” finché non ritorneremo a Lui. QUESTO È IL MODO ORDINÀRIO IN CUI DIO CI CHIAMA ALLA CONVERSIONE.

C’è poi UN MODO STRAORDINÀRIO IN CUI DIO CASTIGA IL MALE, quando permette ad esso di intaccare la nostra salute. Questo non vuol dire che tutti gli ammalati sono colpévoli di qualche grave peccato, ma piuttosto che la malattia esiste ancora nel mondo, perché l’uomo stia piú attento alla gravità di quella malattia dell’ànima che si chiama peccato. Lo dico ancora mèglio: visto che siamo piú bravi a riconóscere le infermità físiche e le malattie, Dio tràmite esse ci fa vedere quanto peggiore sia il peccato. Un bimbo innocente che muore per una malattia, non è volontà di Dio!; ma Dio ci fa vedere in questa tragèdia quanta ingiustízia c’è nei peccati che uccídono l’innocenza, e la sofferenza che raggiunge tutto il suo Corpo, quando questo succede.

Infine c’è UN MODO ESTREMO DI CASTIGARE I PECCATI, quando essi si sono tanto diffusi e non sono piú nemmeno disprezzati nella società civile. Questo modo sono i disastri nazionali o le guerre, la salita al potere di tiranni o di finti virtuosi, la fine mísera delle glòrie nazionali.

Per fare alcuni esempî. In tempi recenti, l’8 Ottobre del 1988, festa di Nostra Signora dell’Ungheria, Gesú disse all’ungherese suor Maria Natàlia Magdolna: «A càusa dei peccati commessi sul territòrio nazionale vivete giorni tormentati. Vi chiedo per questo un’ora di preghiera espiatòria supplementare, ogni settimana, per nove mesi»[1]. Un sècolo prima Gesú diceva il 10 Marzo del 1899 a Luisa Piccarreta: «Fíglia mia, la mia giustízia si è troppo appesantita, e son tante le offese che mi fanno gli uòmini, che non posso più sostenerle. Quindi la falce della morte sta per miètere molti, e all’improvviso, e di malattie; e poi sono tanti i castighi che verserò sul mondo, che saranno una spècie di giudízio» (Libro del Cielo, vol. II). E il 20 Novembre del 1914 la rimpròvera per non avere scritto e fatto sapere tutti i castighi che Lui le aveva fatto vedere incòmbere sul mondo e sulla Chiesa, sia per ammonire sia per evitarle gràzie alla generosità di ànime víttime, cioè di persone che accèttano di soffrire per evitare questi castighi. Scrive in questa occasione Luisa: «Gesú mi aveva messo concatenava insieme tra me e lui tutte le creature; non vi era cosa che facesse o castigo che doveva mandare, che Gesú non me lo facesse sapere, ed io tanto facevo presso di lui, in modo che o dimezzava il castigo o che non lo facesse affatto». Come vedete da quest’último passo, i castighi nazionali si pòssono evitare o con la conversione di fronte al terríbile spettàcolo del male che devasta, oppure con la sofferenza volontària di ànime innocenti, che vèdono in antícipo il male, e fanno quello che Luisa dice in questa testimonianza: «facevo presso di lui, in modo che o dimezzava il castigo o che non lo facesse affatto».

Il Vangelo di oggi ci propone la prima via: «se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo» (Lc 13, 3 e 5).

Gesú parla di due fatti di crònaca: dei trucidati da Pilato e dei morti sotto le macèrie della torre di Síloe. E insegna ai presenti a non guardare il male che colpisce gruppi di persone come punizione meritata, sia perché è Dio soltanto che vede anche le colpe nascoste, sia perché nel gruppo o nei pòpoli colpiti, fra i morti ci sono anche gli innocenti. Dunque Gesú che fa? Chiede di aprire gli occhî su noi stessi, per vedere se siamo abitati anche noi da mali rovinosi che esígono conversione, per evitare la rovina. Ci chiede la conversione; ci chiede di tornare a Lui e alla via di ogni pace.

San Pàolo ha capito questa lezione di Gesú e nella prima léttera ai Corinzî, al capítolo dècimo, parlando degli Ebrei che morírono nel deserto senza raggiúngere la terra della loro pace e libertà, dice: «Ma la maggiór parte di loro non fu gradita a Dio e perciò fúrono sterminati nel deserto.

Ciò avvenne come esèmpio per noi, perché non desideràssimo cose cattive, come essi le desideràrono» (1 Cor 10, 5-6).

Ecco, cari fratelli e sorelle: anche oggi, sotto i nostri occhî, tante cose accàdono come esèmpio e richiamo per noi; come correzione e pazienza di Dio per noi, che non siamo tàgliati come il fico senza frutti del Vangelo di oggi, perché c’è qualcuno che con le sue preghiere dice: «Padrone, làscialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai» (Lc 13, 8-9).

Non dimentichiamo che cosa abbiamo chiesto ieri, usando la preghiera scritta dietro l’immaginetta di san Giuseppe, dove era riportata la conclusione della Léttera apostòlica “Patris corde”: «Imploriamo da san Giuseppe la gràzia delle gràzie: la nostra conversione».


Note

[1] Clàudia Matera, Rivelazioni profètiche di suor Maria Natàlia Magdolna mística del XX sècolo, Sugarco Edizioni, Milano 2021, p.101.

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