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Omelia: | V Doménica di Pasqua Anno C

Letture della messa del giorno

Il Salmista oggi ci invitava a esaltare il Signore, perché còmpie meravíglie, con la sua tenerezza che si espande su tutte le sue creature. Invitati alla lode, dunque, i fedeli dèvono parlare della sua potenza, «per far conóscere agli uòmini le sue imprese e la splèndida glòria del suo regno».

Un Regno che comíncia nei cuori e che però porta una novità dirompente, capace di far nuove tutte le cose, dunque anche ciò che sta fuori di noi. Si tratta del Regno dell’amore fraterno, che conoscerà la sua definitiva realizzazione quando «ogni làcrima sarà asciugata» nella Gerusalemme celeste, e vedremo, come san Giovanni, i cieli nuovi e la terra nuova dell’Apocalisse. Intanto però, mentre dagli Atti ci è detto che bisogna «restare saldi nella fede, perché…dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni», IL VANGELO CI CONSEGNA IL MODO IN CUI SI RESTA SALDI: SI RESTA SALDI AMANDO COME GESÚ.

San Bonaventura insegna infatti che la fede conduce ad amare, quindi RESTARE SALDI NELLA FEDE signífica non perméttere che si spenga o si contraffàccia in noi l’amore. Non l’amore-sentimentalismo! Non l’amore-passione! Ma l’amore divino e soprannaturale che ci ha insegnato il Fíglio di Dio: «Come io ho amato voi, cosí amàtevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13, v.34.

In queste parole vediamo convèrgere, sull’esèmpio che Gesú ci ha lasciato nella sua vita, sia i Dieci Comandamenti, sia la vita dei profeti dell’Antico Testamento. In Gesú, infatti, non solo si ha la síntesi dei comandamenti di sempre, ma si raggiunge la perfezione. Pertanto quel «come io ho amato voi» sta a dirci ancora oggi che è Lui il MODELLO CHE DIO STESSO HA LASCIATO DEFINITIVAMENTE AGLI UÒMINI, PER AMARE SENZA LIMITAZIONI O SCANTONAMENTI. Conóscere i Dieci Comandamenti è giusto; víverli ci fa salvi; ma se vogliamo èssere figlî di Dio, non dobbiamo guardare ad altri modelli se non al Fíglio unigènito dell’Eterno Padre. Egli è stato ed è DONAZIONE TOTALE, AMORE PERFETTO, VITA PER I FRATELLI.

Come cristiani, dunque, dobbiamo avere sempre Lui davanti ai nostri occhî e chièderci: ¿Che farebbe Gesú in questa situazione? ¿Che direbbe in quest’altra? ¿Come affronterebbe la morte di una persona cara e il diàlogo con un arrogante? ¿Come ha amato i genitori e il suo pòpolo? ¿Come ha conciliato l’amore per il peccatore e l’òdio per il peccato? ¿Come organizzava il suo tempo? Pregava? ¿Quale pazienza aveva nelle calúnnie, nei rifiuti, nelle persecuzioni e nella passione? ¿Ha perdonato o ha portato risentimenti per qualcuno? Sappiamo bene che il suo esèmpio in ognuno di questi àmbiti è stato perfetto, impeccàbile, e anche questo píccolo brano del Vangelo di oggi ce lo fa vedere. GIUDA IL TRADITORE SE NE VA DAL CENÀCOLO (siamo tornati indietro nel tempo, all’Última Cena!), E LUI SI SENTE GLORIFICATO DA UN TRADITORE E DA DIO STESSO. Perché? Sant’Agostino spiega che Gesú viene glorificato perché con lui resta solo il grano e se ne va la zizzània (Cfr Omelia 63, 2). Io penso che Gesú si senta glorificato anche nell’azione indegna e umiliante del tradimento, PERCHÉ IL TRADIMENTO DI UNA PERSONA CHE TI AMA INFINITAMENTE È TÍTOLO DI GLÒRIA PER CHI È RIMASTO FEDELE. Questo vale anche per una còppia di sposi in cui uno dei due ha perso il senno dietro qualcún altro: la sposa o lo sposo rimasto fedele e rimasto innamorato deve sentirsi “glorificato” da quello che è successo, tanto quanto è grande l’umiliazione. Noi, purtroppo, che non abbiamo ancora l’umiltà di Gesú, parliamo di corna e di cornuti, per sbeffeggiare il dolore di una persona tradita, quando invece dovremmo ricordarci l’esèmpio di Gesú e sapér dire, come seppe dire Niccolò Tommaseo: «È mèglio èssere traditi che traditori».

Del resto, il comandamento nuovo dell’amore cristiano «Come io ho amato voi, cosí amàtevi anche voi gli uni gli altri», deve portare a manifestare nella vita di ogni giorno la grandezza di un amore che non è conosciuto da questo mondo. La nostra normalità e ordinarietà nel fare tante cose non può prescíndere da quel «come io ho amato voi», che risuona dalla bocca del Signore. Del resto lui stesso, in un’altra occasione aveva detto: «Cosí risplenda la vostra luce davanti agli uòmini, perché vèdano le vostre òpere buone e rèndano glòria al vostro Padre che è nei cieli» (Mt 5, v.16).

Cari fratelli e sorelle, pròprio oggi la Chiesa canonizza dei beati di diverse parti del mondo che sono stati luce nel tempo in cui hanno amato i fratelli come Gesú ha insegnato loro. La loro vita ci stímoli alla medésima fedeltà al comandamento nuovo.

Làzzaro Devàsahayàm Pillai, César de Bus sacerdote, Luigi Maria Palazzolo, Giustino Maria Russolillo, Charles de Foucauld, Maria Francesca di Gesú, Maria Doménica Mantovani, Titus Bandsma, Maria Rivier, e Maria di Gesú Santocanale sono per molti di noi solo dei nomi che oggi sentiamo per la prima volta; ma la Chiesa, dopo anni di ricognizioni di notizie e testimonianze, ce li addita come esempî di quel Modello único e santo che è stato Gesú.

Vòglio ricordare solamente il primo di questo elenco: un catechista indiano, padre di famíglia, morto tra torture di ogni tipo. Nilam (questo il suo nome prima del battésimo) era un indú appartenente alla casta piú alta della pròpria religione, e infatti finí per èssere alto ufficiale del palazzo re di Travancore nell’India del Sud, e suo ministro. Diventato amico di un capitano cattòlico di orígine olandese, essendone stato consolato durante diverse sue vicissitudini familiari, conobbe prima la stòria di Giobbe e poi Gesú. Affascinato dal vangelo, nonostante la pena di morte per chi si convertiva al Cristianésimo, volle èssere battezzato da un p. gesuita, e divenne un predicatore di Gesú. Questo lo rese inviso a chi prima lo onorava, anche perché egli non aveva piú nessún timore religioso di contaminarsi con le caste inferiori: ora èrano tutti suoi fratelli. E per questo fu torturato pubblicamente per mesi e poi ucciso.

Abbiamo bisogno di restare saldi in questa fede, caríssimi, perché senza di essa né si ama veramente né si muore per amore.

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