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Omelia: V Doménica di Quaresima | Anno C

Letture della messa del giorno

San Pàolo ha capito che tutto è una pèrdita, paragonato alla sublimità della conoscenza di Gesú Cristo (Cfr Fil 3, v.8), e nel ripensare alle cose fatte in passato senza Cristo, col prevalere di sé stesso e avendo come fine la pròpria glòria e gratificazione, dice: «Oggi le consídero spazzatura, al fine di guadagnare Cristo».

Se, infatti, in Lui ogni sapienza, umanità e aspirazione si perfeziona, ¿come non desiderarlo compagno del nostro presente e saperlo meta del nostro futuro? Conóscere sempre di piú Gesú è per san Pàolo, ma anche per tutti i santi innamorati di Dio, *un’esperienza sublime, dove bellezza, amore e profondità, tòccano vèrtici indimenticàbili e irripetíbili, che si ripètono ad ogni approfondimento di questa conoscenza, senza stancare, senza delúdere, senza diminuire la sorpresa di èssere immersi in un amore grandíssimo e senza límite. La sublimità è, spiritualmente parlando, quella giòia della scoperta progressiva di Dio, che non mi fa scoppiare il cuore e non mi fa impazzire la mente solo perché per amore Dio si contiene mentre si dona, ma che purtuttavia mi conquista per sempre. Infatti, sempre ai Filippesi san Pàolo confessa: « anch’io sono stato conquistato da Gesú Cristo » (Fil 3, v.12). Quando si scopre di èssere amati davvero, e in questo modo, si viene conquistati da Gesú! Questa è anche la scoperta fatta dalla donna sorpresa in flagrante adultèrio e salvata dalla lapidazione gràzie alla sapienza di Gesú. In questo episòdio vediamo non solo come Dio ama il peccatore, giúdica chi finisce ai suoi piedi, e condanna il peccato soltanto; ma vediamo anche come nello scórrere del tempo, che è la nostra vita su questa terra, egli tenga di piú al presente e al futuro, e lo stesso esige da noi: non perché il passato non àbbia valore, ma perché il passato è passato e non mi permette piú di fare il bene, se non l’ho già fatto; il presente, invece, mi permette pròprio questo, come il futuro mi stímola a questo. Il futuro, infatti, è Gesú che ci attende in Paradiso: Lui è la meta; Lui è il prèmio del vívere santamente; Lui è la perfezione.

L’adúltera scopre questa verità, durante la festa dei Tabernàcoli, quando il tempo per lei si azzera, di fronte al ríschio di morire per il peccato commesso e pubblicamente scoperto. La paura della lapidazione distrugge il suo presente e annulla la speranza di un futuro. Lei e il suo passato, lei e il suo peccato, vívono il tempo del rigore, che è tempo di morte e di condanna.

Anche gli scribi e i farisei vívono lo stesso tempo del rigore, nel loro cuore, perché vògliono solo la morte, o di Gesú o dell’adúltera. Il tranello, infatti, che tèndono a Gesú è questo: se dirà che l’adúltera mèrita di morire come prevede Mosè, noi lo denunceremo ai Romani, perché dal 30 d.C. èrano loro ad eseguire le sentenze capitali. Se dirà che non mèrita di morire, noi lo denunceremo al Sinèdrio, perché trasgredisce la legge mosàica. In un caso o nell’altro, l’importante è che muòia qualcuno. E quando si vuole la morte di qualcuno, cari fratelli e sorelle, si azzera tutto davanti a Dio (passato, presente e futuro) e resta solo il ríschio di dannarsi per l’eternità.

Gesú, con la sua vita, con il suo esèmpio, con i suoi insegnamenti e con la sua Chiesa, vuol fare uscire tutti dal tempo del rigore, per introdurci in quello del perdono e della misericòrdia.

¿In che cosa consiste questo tempo della misericòrdia? La risposta è in quel misterioso modo di scrívere di Gesú per terra, sulla rena (Egli, che non ha scritto nessuna òpera e nemmeno il suo Vangelo), mentre viene incalzato e provocato dagli scribi e dai farisei: « Dicèvano questo per métterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesú si chinò e si mise a scrívere col dito a terra » (Gv 8, v.6). Nel tempo della misericòrdia, Dio scrive a terra e sulla rena i nostri peccati, pronto a farli sparire se riconosciuti e detestati. Se li scrivesse sulla ròccia, sarèbbero piú diffícili da cancellare. Sulla ròccia aveva dovuto riscrívere quei dieci comandamenti che èrano stati offuscati e dimenticati nel cuore delle persone create. Egli ha compassione degli uòmini; sa che il peccato ci attacca a terra e ci umília per terra: priva il tempo del suo èssere occasione per fare il bene. Per questo scrive sulla rena o sàbbia il peccato dell’adúltera e quello degli scribi e dei farisei che glie l’hanno portata per incastrarlo. Ma il suo silènzio paziente e la sua scrittura misteriosa non sono capiti. Il Vangelo annota infatti: « Tuttavia, poiché insistèvano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei” » (Gv 8, v.7). Nessuno potrà lanciare quella prima pietra, perché nessuno è senza peccato. Dio non lància la pietra della condanna, perché nel tempo della misericòrdia scrive sulla rena i nostri peccati, sempre disposto a perdonarli. Se Dio lanciasse la pietra della condanna su ciascuno di noi, saremmo tutti lapidati o sotto una valanga di pietre. Non lo fa perché ci ama, ci vuole vivi e tendenti alla perfezione dell’amore. Si aspetta questo da noi.

In questo modo la sua misericòrdia non diventa misericordismo, e il nostro tempo sarà ben vissuto e ben usato. Egli, infatti, nel brano del Vangelo di oggi non approva assolutamente quello che la donna ha fatto, ma le fa conóscere la sublimità del vero amore: « Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare piú » ( Gv 8, v.11). Cioè: «Il tuo passato è passato e non mi interessa tanto quanto mi interessa il tuo presente. Va’ e non restare a terra e nella pólvere. Io ti alzo da terra e ti vòglio portare in cielo.  Vedo il tuo pentimento e ti perdono (ho già cancellato quello che ho scritto sulla rena); ma tu non peccare piú: non fare piú questo peccato».

Questo dice anche a noi, ogni volta che cadiamo, ma vogliamo rialzarci. Il misericordismo, invece, trasforma questo amore vero di Gesú in condono perpètuo di chi vuole restare a terra o “andare” continuando a peccare.

Purtroppo, in questo tipo di inganno luciferino, il passato contínua ad èssere presente e il futuro non è Gesú né il Paradiso.

Imitiamo san Pàolo, che torna a dirci: « Dimenticando ciò che mi sta alle spalle_ (il passato), e proteso verso ciò che mi sta di fronte (il futuro), corro verso la meta, al prèmio che Dio ci chiama a ricévere lassú, in Cristo Gesú » (Fil 3, 13-14).

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