Per chi non conoscesse questa pia devozione dell’Ora della Desolata, consíglio di iniziare la lettura dall’Introduzione. A premessa vorrei solo aggiúngere che la meditazione (fondata sui nostri pensieri o su quelli presi in prèstito dallo scritto di un autore), costituendo la fase iniziale della preghiera, la fonte da cui quest’última dovrebbe sgorgare, è già preghiera anche quando non è ancora diàlogo diretto con Dio. La pràtica della meditazione ci insegna che pregare è prima di tutto e soprattutto ascoltare. Solo cosí impariamo a chièdere in preghiera ciò che non potrà mai èsserci rifiutato.
Índice
Introduzione
La pia devozione di far compagnia alla Vérgine Addolorata nella sua desolazione, dopo la morte di Gesú, si deve alla serva di Dio suor Maria Crocifissa, sorella del beato Giuseppe Maria Cardinàl Tommasi. Fu praticata inizialmente dalla sue consorelle e poi si propagò in quello che allora era il Regno di Nàpoli.
La meditazione sulla desolazione della Vérgine Addolorata prende in cónsiderazióne sette motivi di desolazione per Maria Santíssima e si ferma su di essi (da qui il nome stazione):
- Maria Santíssima vede chiúdere Gesú nel sepolcro,
- Maria Santíssima parte dal sepolcro di Gesú
- Maria Santíssima tornando dal sepolcro rivede la croce
- Maria Santíssima ritorna a Gerusalemme
- Maria Santíssima viene accolta da Giovanni in casa sua
- Maria Santíssima tiene sempre davanti la passione del Fíglio
- Maria Santíssima deplora l’ingratitudine degli uòmini alla passione di Gesú
Il Sommo Pontéfice Pio VII per animare i fedeli a tale pràtica devozionale concesse l’Indulgenza Plenària[1] a chiunque avesse meditato, almeno per mezz’ora, la Desolazione di Maria Santíssima, sia una volta all’anno, dalle 21 del Venerdí Santo alle 16 del Sàbato Santo, sia tutti i venerdí dalle 21 fino all’alba della Doménica susseguente.
Questo pio esercízio, estremamente salutare e útile per conoscere Maria, la sua missione e imparare ad amarla e imitarla, è tutt’oggi consigliata dalla Chiesa Cattòlica. Nel “Direttòrio su pietà popolare e liturgia” della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti al n. 145 viene, infatti, riportato:
«Per la sua importanza dottrinale e pastorale, si raccomanda di non trascurare “la memòria dei dolori della beata Vérgine Maria”. La pietà popolare, seguendo il racconto evangèlico, ha rilevato l’associazione della Madre alla Passione salvífica del Fíglio (cf. Gv 19, 25-27; Lc 2, 34s) e ha dato vita a vari pii esercizî, tra cui sono da ricordare:
– il Planctus Mariæ, […];
– l’Ora della Desolata, nella quale i fedeli, con espressioni di commossa devozione, “fanno compagnia” alla Madre del Signore, rimasta sola, immersa in un profondo dolore, dopo la morte del suo único Fíglio; essi, contemplando la Vérgine con il Fíglio sul grembo, – la Pietà –, comprèndono che in Maria si concentra il dolore dell’universo per la morte di Cristo; in lei essi védono la pérsonificazióne di tutte le madri che, lungo la stòria, hanno pianto la morte di un fíglio. Tale pio esercízio, che in alcuni luoghi dell’Amèrica Latina è chiamato El pésame, non dovrà limitarsi tuttavia ad esprímere il sentimento umano davanti a una madre desolata, ma nella fede della risurrezione, saprà aiutare a comprèndere la grandezza dell’amore redentore di Cristo e la partecipazione ad esso della sua Madre»[2].
Alla seguente redazione dell’Ora della Desolata, tratta dai Quaderni del 1944 di Maria Valtorta sono state aggiunti solo i títoletti per facilitare l’identificazione nelle scritto delle stazioni che, per inciso, sono solo cinque perché le últime due sono comprese nelle altre stazioni. Ad integrazione dell’Ora della Desolata dettata da Maria Santíssima ho posto una Riflessione di Gesú sul dolore di Maria.
L’ora della Desolata
3 giugno. 1° sàbato, ore 1:30 àntimeridiàne.
«Dice Maria:
“Sono la Mamma. Scrivi.
Fai tutti i sàbati l’ora della Desolata. Che tu passi così la notte fra il venerdí e il sàbato, te ne benedico. Il primo punto e il terzo punto ti sono fàcili. Non fai che riléggere visioni e dettati che hai avuti. Ma il secondo ti è penoso perché lo devi fare da te. Nel tuo descrívere hai detto: ‘Maria col gruppo… per poca via torna alla casa’[3]. E se questo basta nella descrizione ― né più potevi dare nella tua debolezza ― non basta alla tua preghiera di ora. Scrivi dunque per tua guida quello che ho sofferto allora.Maria Santíssima vede chiúdere Gesú nel sepolcro
Quando la pietra è scorsa nel suo àlveo ed ha chiuso il Sepolcro, mi è parso che mi passasse sul cuore e me lo stritolasse, strappàndomelo dal seno. Mi sono attaccata alla sua sporgenza con le únghie e con la bocca per respíngerla, quella pietra che mi separava da Gesú, che me lo faceva morto una seconda volta, di una più profonda morte, di una separazione ancór piú grande in cui neppúr le membra di mio Fíglio èran più mie… Ma, ahi! che nulla ottenni! Únghie e denti scórsero senza dare moto su quel pietrone. Sanguinàrono le dita e le labbra, ma esso rimase chiuso, chiuso e inesoràbile come la morte. Allora sul sangue scorse il pianto. E sàngue e pianto della sua Mamma fúrono i primi che bagnàrono quel luogo santo dove un Dio conobbe la morte per levare da morte l’uomo.
Mi strappàrono di là, ché là sarei rimasta se mi avéssero lasciata. Là, ai piedi di quella porta di pietra, come una mèndica in attesa di un òbolo. Ero infatti la più mísera delle donne e per vívere avevo bisogno di quest’òbolo: rivedere il Fíglio mio! Ero meno ancora di una mèndica. Mi sarei accucciata là come una pècora che ha perduto il pastore, che è randàgia, affamata, sola, e che torna al chiuso ovile, all’ovile senza più padrone, e si làscia morire di fame là, contro il muro serrato, poiché non ha più nessuno, e nel mondo pieno di lupi le pare d’èsser ancora difesa se sta là, dove un tempo era chi l’amava… ¿E non ero infatti un’agnella in mezzo a lupi feroci, e non m’era morto Colui che mi amava?
Mi strappàrono di là… Oh! ¡che gli uómini nella loro pietà delle volte sono crudeli! ‘¿Che sarébbero stati quei giorni per me, nell’ortàglia quieta, in attesa del risórgere del mio Gesù? Molto, molto meno strazianti di quelli che dovetti vívere altrove.
Lì non vi era tràccia di delitto. Le piante, buone e innocenti, continuàvano a fiorire per dar lode a Dio. Gli uccelli, buoni e innocenti, a nidificare e cantare per ubbidire al Signore. Essi non odiàvano, essi non avévano odiato, maledetto, ucciso. Avévano udito i clamori dell’òdio e delle bestémmie e si èrano rincantucciati nel folto spauriti mentre le piante ràbbrividívano nel vento dell’ira. Avévano visto passare il loro Signore inseguito, percosso, ferito, morente, come uno di loro da uno sparviero o da una turba di perversi bambini, e ne avévano avuto pietà e paura pensando che era la fine di ogni creatura se era tratto a morte il Creatore che, così buono, aveva per loro avuto sempre parole d’amore e benedizioni e miche di pane.
In quella pace avrei potuto sentire assopirsi il mio tormento e avrei pianto, senza sussulti di spasimo, sotto le stelle e nel sole d’oro, fino al momento che l’aurora domenicale m’avesse aperto le porte e reso il Fíglio mio.
¿Le guàrdie? Oh, ¡che non avevo paura di esse! In un àngolo mi sarei accucciata come una schiava in attesa del padrone e sarei parsa loro così spregévole che mi avrébbero dimenticata. E anche mi avéssero dileggiata, ´¿che m’avrebbe fatto?
¡Quanti dileggi non m’èrano stati lanciati sulla cima del Golgota! Parole più atroci non avrei potuto udirne. Avevo bevuto tutta la fèccia del turpiloquio umano e da allora nessuna atroce bestémmia a me, a me, mi stupisce. Le conosco tutte… Potevo dunque udire anche gli scherni di poche guàrdie assonnate.Maria Santíssima parte dal sepolcro di Gesú
Ma mi hanno strappata di là… E ho dovuto tornare fra gli uòmini. ¡Gli uòmini!…
¡Gli uòmini!… Le belve che mi avévano ucciso il Fíglio. E fu il secondo Calvàrio della Madre… ¡Ecco la strada!… È ancora sconvolta dalla fiumana di pòpolo che l’ha percorsa al mattino dietro al Condannato, e nel pomeríggio fuggendo dal monte. Per tornare a casa dovevo passare per un sentiero che era stato percorso dai crudeli.
Ecco le tracce dei loro passi. Pedate in ogni senso e brandelli di stoffe, e oggetti perduti, come sempre dove una folla si riversa e nella calca si opprime a vicenda. Ognuno di quei segni, di quelle pedate, mi diceva: ‘Sono di un torturatore di tuo Fíglio’.
E poi ecco la via vera del Calvàrio, là al ponticello oltre la Porta… Qui le tracce si fanno più fitte, e più atroce il mio dolore… Qui vedo a terra pietre e randelli… e so a che uso sono serviti. Su essi certo è sàngue della mia Creatura, ¡perché me l’hanno percossa sulle membra già tanto straziate!… Oh! vorrei cercare su queste non colpevoli matèrie, che l’uomo fece colpévoli, il Sàngue del mio Fíglio. Ma non me lo làsciano fare. La notte scende. È il venerdí di Parasceve. Bisogna affrettarsi.Maria Santíssima tornando dal sepolcro rivede la croce
Prima di vòlgere le spalle al Calvàrio per prèndere la via che entra in città, mi volgo e nel crepúscolo della sera vedo tre ombre scure sul cielo già notturno: le tre croci. ¡Su una è stato il Fíglio mio! ¡il Figlio mio! ¡Essa è stata il letto della sua agonia! La sua Mamma, che gli ha preparato tanta mòrbida cuna quando l’attendeva, e mai si era data pace che il primo sonno del suo Bambino avesse dovuto conóscere la durezza pungente di una lettiera di pàglia, ha dovuto vederlo morire sul duro di un legno…
Oh! madri che piangete pensando alle agonie dei vostri figlî estinti, ¡pensate al mio dolore! Pensàtelo voi tutte, donne dal cuore gentile, anche se madri non siete; pensàtelo voi, uòmini onesti e buoni, e anche voi, malvagî, se del tutto belve non siete o demonî maledetti, e ¡abbiate pietà del mio dolore!Maria Santíssima ritorna a Gerusalemme
Mi trascínano oltre la Porta che sta per èsser chiusa. Ecco Gerusalemme… ¡La matrigna che ha ucciso il Fíglio del suo Sposo! ¡L’assassina che si è avventata sull’inerme per sgozzarlo! La predona che lo ha atteso al varco per catturarlo e spogliarlo del suo único tesoro: la vita.
Non aveva che quello il mio Gesú, come uòmo. Era pòvero, senza denaro, senza gioielli, senza possessi. Non aveva, da quando s’era fatto servo dell’uòmo per guidare l’uomo cieco a Dio, più neanche la sua casetta materna, il letto fatto da chi gli fece da padre, il pane cotto dalla sua Mamma. Dormiva là dove un mísericordióso l’accoglieva, e mangiava là dove un buono gli dava un pane. Altrimenti accoglévano il suo corpo stanco le erbe dei campi e vegliavano il suo sonno le stelle e provvedévano alla sua fame le spighe del grano maturo e le more selvàtiche che sono cibo agli uccelli. Non aveva più di quanto ha il passero che cerca nel campo il suo cibo e nel fienile il suo riposo. Ma era gióvane e sano. Aveva la vita… ¡e glie l’hanno levata! Gerusalemme lo ha spogliato di questa sua vita. Come un vampiro ha succhiato tutto il suo sàngue, come un avvòltoio lo ha ferito col rostro del suo livore, come una sàdica ribelle lo ha torturato e confitto, godendo dei suoi spàsimi, dei suoi trèmiti, dei suoi singulti, delle sue convulsioni. Oh! ¡che le vedo ancora tutte!…
Poca gente nelle vie. Dopo il delitto i delinquenti si nascóndono. Ma quei pochi, scantonanti furtivi nelle viuzze strette, scomparenti dentro le porticciuole súbito serrate, come teméssero irruzione di nemici, mi fanno sussultare di orrore. Forse quel vècchio è un suo accusatore… quel giovane l’ha forse bestemmiato e quell’uòmo membruto e tarchiato, malmenato e percosso… E ora fúggono, si nascóndono, si rinsérrano. Hanno paura. ¿Di che? Di un morto. Per loro non è che un morto poiché hanno negato che è Dio. ¿Di che hanno dunque paura? ¿A chi chiúdono le porte? Al rimorso. Alla punizione.
Non giova. Il rimorso è in voi, e vi seguirà eterno. E la punizione non è umana.
E contro essa non sérvono serrami e sbarre. Essa scende dal Cielo, da Dio vendicatore del suo Immolato, e pènetra oltre mura e porte, e con la sua fiamma celeste vi marca per il castigo sóprannaturàle che vi attende. Il mondo verrà al Cristo, al Fíglio di Dio e mio, verrà a Colui che voi avete trafitto, ma voi sarete gli in eterno segnati, i Caini di un Dio, l’obbràbrio della razza umana.
E io che sono nata da voi, io che son Madre di tutti, devo dire che a me, vostra fíglia, siete stati più che padrigni, e che nello sterminato número dei miei figlî voi siete quelli che piú a me imponete fatica di accògliervi perché siete sozzi del delitto verso la mia Creatura, né ve ne pentite dicendo: “Eri il Messia. Ti riconosciamo e ti adoriamo”.
Passa una ronda romana. I dominatori hanno paura della folla scatenata. Oh! ¡non temete! Queste sono iene vili. Si avvéntano sull’agnello inerme, ma tèmono il leone armato di lance e di autorità.
Non temete di questi striscianti sciacalli. Il vostro passo ferrato li pone in fuga e il brillare delle vostre lance li fa più miti di coniglî.
¡Ma quelle lance!… ¡Una ha aperto il cuore del mio Fíglio! ¿Quale fra esse? Vederle mi è fréccia nel cuore. E pure vorrei averle tutte fra queste mie mani che trèmano, per vedere quale è quella che ancora ha tracce di sàngue e dire: “¡È questa! ¡Dàmmela, o soldato! Dàlla ad una Madre in ricordo della tua madre lontana. Ed io pregherò per lei e per te”. E nessún soldato me l’avrebbe negata, perché essi, gli uòmini di guerra, fúrono i più buoni davanti alla agonia del Fíglio e della Madre…Maria Santíssima viene accolta da Giovanni in casa sua
Ecco la casa… ¿Quante ore o quanti sècoli sono passati da quando vi sono entrata ieri sera? ¿Da quando ne sono uscita questa mattina? ¿Sono pròprio io, la Madre cinquantenne, o una vegliarda secolare, una donna dei primi tempi, ricca di sècoli sulle spalle curvate e sulla testa canuta? Mi pare d’aver vissuto tutto il dolore del mondo e che esso sia tutto sulle mie spalle che piègano sotto il suo peso. Croce incorpòrea, ¡ma così pesante! Di pietra. Pesante forse più di quella del mio Gesú. Perché io porto la sua e la mia col ricordo del suo stràzio e con la realtà del mio stràzio.
Entriamo. Perché si deve entrare. Ma non è un conforto. È un aumento di dolore. Da questa porta è entrato il Fíglio mio per l’último suo pasto. Da questa porta ne è uscito per andare incontro alla morte. E ha dovuto mëttere il suo piede là dove il suo traditore lo aveva messo uscendo per chiamare i catturatori dell’innocente. Contro quell’úscio ho visto Giuda… ¡Giuda ho visto!… E non l’ho maledetto, ma gli ho parlato da madre straziata, straziata per il Fíglio buono e per il fíglio malvàgio… ¡Ho visto Giuda!… ¡Il demònio ho visto in lui! Io, che ho sempre tenuto Lucífero sotto il mio calcagno e guardando solo Dio non ho mai abbassato l’òcchio su Sàtana, ho conosciuto il suo volto guardando il Traditore… Ho parlato al Demònio… ed esso è fuggito perché il Demònio non sopporta la mia voce…
Oh! ¡lasciàtemi entrare in quella stanza dove il mio Gesú ha preso l’último suo pasto! ¡Dove la voce del mio Bambino ha detto le sue últime parole in pace! Aprite!
¡Aprite questa porta! ¡Non potete chiuderla ad una madre! Ad una madre che cerca respirare nell’ària l’odore del fiato, del corpo del suo Bambino. ¿Ma non sapete che quel fiato, che quel corpo glie l’ho dato io? ¿Io, io che l’ho portato nove mesi, che l’ho partorito, allattato, allevato, curato? ¡Quel fiato è mio! ¡Quell’odore di carne è mio! ¡È il mio, fatto più bello nel mio Gesú. ¡Lasciàtemelo sentire una volta ancora! Ho negli occhî la vista del suo Sàngue e nel naso l’odore del suo Corpo piagato. Che io veda la tavola dove si appoggiò vivo e sano, che io senta il profumo del suo Corpo giovanile. Aprite! ¡Non lo seppellite una terza volta! Già me lo avete celato sotto gli aromi e le bende. Poi me lo avete serrato oltre la pietra.
Ora ¿perché, perché negare ad una madre di ritrovare l’último fastigio[4] di Lui nell’alito che Egli ha lasciato oltre questa porta?
Lasciàtemi entrare. Cercherò per terra, sulla tàvola, sul sedile, le tracce dei suoi piedi, delle sue mani, e le bacerò, le bacerò[5] sino a consumarmi le labbra… Cercherò… cercherò… Forse troverò un capello del suo capo biondo. Un capello che non sia ingrommato di sàngue. ¿Ma lo sapete cosa è un capello del fíglio morto per la sua mamma? ¿Tu, Maria di Cleofa, e tu, Salome, siete madri, e non capite?
Giovanni? Giovanni? Ascóltami. Io ti son Madre. Egli mi ha fatta tale[6]. Egli! Tu mi devi ubbidienza. Apri. Io ti amo, Giovanni. Ti ho sempre amato perché lo amavi. Ti amerò più ancora, ma apri. Apri, dico. ¿Non vuoi? ¿Non vuoi? Ah! ¿non ho dunque più figli? Gesù non mi ricusava mai nulla perché m’era Fíglio. Tu ricusi. Non sei tale. ¡Non capisci il mio dolore!… Giovanni, perdona!… Apri… Non piàngere… Apri…
Gesú; Gesú! Ascoltami! ¡il tuo spírito òperi un miracolo! Apri alla tua pòvera Mamma quest’úscio ¡che nessuno le vuole aprire! ¡Gesú, Gesú!… Io manco… Io muòio… Vengo con Te, Gesú… Vengo…”.
…e Maria, dopo avér percosso la porta coi suoi píccoli pugni tentando di aprirla, dopo èssersi raccomandata, appoggiàndosi alle donne, a Giovanni, si piega, più pallida di un gíglio, e scivolerebbe a terra se non la prendéssero di peso portàndola nella stanza di fronte.
Perché la visione che mi ha accompagnata durante il dettato finisce così.“¿Sai” dice poi Maria “perché solo oggi ti ho dato queste parole? Perché non hai più il quaderno dove è detta la disperazione di Giuda[7]. Qui ne parlo. E anche questa è una prova che sono cose vere, perché uno che se le inventa da sé si confonde, non avendo modo di ricordare, e cade in bugia. E tu, stanca e dèibole come sei, non ricordi da un’ora all’altra. Fàllo notare al Padre che ti dirige, mio servo[8]”.
Infatti il quaderno se lo è portato via lei il 27 màggio»[9].
Riflessione di Gesú sul dolore di Maria
«24 giugno
Più tardi. Gesú mi fa la seguente osservazione:
“Nel fare l’Ora della Desolata vòglio che tu consíderi i tre tempi del dolore di Maria. Per tua norma nel soffrire e nel conóscere la Giustizia che vi giudicherà del vostro modo di soffrire.
Il primo tempo è la donna, la madre, quella che urla il suo stràzio. Dio concede che nel momento più atroce del dolore la creatura deliri ed àbbia parole dure per coloro che sono causa del suo dolore. Maria, la Santa, non può trattenersi da chiamare ‘belve, sciacalli e iene’ gli uòmini, da chiamare gli ebrei ‘suoi patrigni’, da proclamare che Ella deve farsi violenza per sopportarli, e da marchiarli col nome di Caini di Dio e di obbróbrio della razza umana. Maria, la Santa, non può trattenersi da chiamare Gerusalemme ‘matrigna, assassina, predona, vampiro e avvoltòio’. Sul Calvàrio non aveva saputo che ululare: ‘Non ho più fíglio!’. Era la donna.
Nel secondo tempo è la credente che vuole èsser fedele alla sua fede anche se i fatti pàiono smentire ogni promessa di fede. Il suo cuore di madre e di donna lotta col suo spírito di credente. Trionfa lo spírito perché è realmente nutrito di fede. La donna è superata. Resta la credente.
Nel terzo tempo la credente, affermata sempre più nella fede, sale, attraverso alla rassegnazione, a riunirsi con Dio dal quale il dolore l’aveva divisa. Oh! il dolore, lo so, è come colpo di fanciullo malvàgio sulle morbide ali di una variopinta farfalla. La abbatte al suolo. Pare morta. Ma poi riprende pian piano forza e moto. Prima cammina, poi arràmpica, poi tenta di muòvere le ali, poi fa il primo tímido volo, infine si lància, riconquista l’azzurro…
Leggo il tuo pensiero: ‘Ma se i colpi contínuano e ogni volta che la farfalla comíncia a volare di nuovo viene abbattuta, finisce col morire per terra’. Umanamente si. Non può che avvenire questo. Ma per questo io ci sono. Per raccògliere le víttime della brutalità terrena. Mi basta che esse non diffídino di Me e non mi accúsino, odiàndomi, d’èssere il loro carnèfice.
Date a Dio ciò che è di Dio e all’uòmo ciò che è dell’uòmo. Date ad ognuno il giudízio giusto. Meditate per bene sui vostri strazî, voi che soffrite, tu che soffri sino a morirne. Vedrai che ogni stràzio porta il nome di un uòmo. Mai quello di Dio. Oh! che sei ancora creatura e non ti è lècito conóscere i segreti del sóprannaturàle. Ma quando li conoscerai comprenderai tante cose.
Maria, nel terzo momento della sua desolazione, non è più la credente: è la Fíglia di Dio, è la Santa che parla al Padre, al Re con la solenne sicurezza di chi sa che può parlare perché ha conquistato il diritto d’èssere esaudita. Non più oscurità di desolazione umana, non più affanno di credente che vuole e non può raggiúngere la pace nel dolore. Ma la giòia del soffrire: una giàia d’ànima sotto il pianto della carne che muore per último, ma che si làscia piàngere perché ― tu l’hai detto[10] ― arrivati a certi punti, carne e sentimento sono indumenti gettati sull’io spirituale, l’io vero. E la creatura, santificata dal suo eroismo, può giúngere a dire: ‘Per quel si che ho detto, ascóltami!’.
Dillo anche tu, Maria. Di’: ‘Ti ho detto sì tante volte, per questi sì ascóltami’.
E spera. Non méttere un nome alla tua speranza. Le daresti sempre nomi della terra. Spera in Me. In Me solo, e lòsciami fare”»[11].
Note
[1] Vd. Rescritti del 25 febbràio e 21 marzo 1815
[2] Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Direttorio su pietà popolare e liturgia. Principi e orientamenti, n. 145, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2002.
[3] Nella visione del 19 febbràio, terzo capoverso. Detta visione, che si trova riportata a pag. 12l, e il dettato qui riportato, si ritroveranno fusi insieme, in una rinnovata stesura del 1945, a formare l’episòdio del “Ritorno al Cenàcolo”, appartenente al ciclo della “Passione” della grande òpera sul Vangelo.
[4] L’último fastígio è nostra correzione da l’ultima fastigia.
[5] Bacerò è nostra correzione, tutte a due le volte, da bacierò.
[6] Giovanni 19, 26-27.
[7] È il quaderno n. 2l; e l’episodio è da noi indicato a p. 22l.
[8] Il Padre Migliorini, al quale la scrittrice si rivolge ancora sotto, apparteneva all’Órdine dei Servi di Maria. Vedi la
nota 2 di p. 5.
[9] Maria Valtorta, I Quaderni del 1944, 3 giugno, CEV, Isola del Liri, 1985, p.408-414.
[10] Il 22 giugno, pag. 460.
[11] Maria Valtorta, I Quaderni del 1944, 23 giugno, CEV, Isola del Liri, 1985, p.471-473.