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Omelia: Natale di Nostro Signore Gesú Cristo, notte

Letture della messa del giorno

Caríssimi fratelli e sorelle, il Gesú Bambino che è passato in mezzo a voi al canto del Glòria, ci porta sentimenti di tenerezza, di gratitúdine e di commozione. La bellezza di un bambino appena nato è di per sé un annúncio di giòia, di speranza, di vita e di bellezza. Se questo bambino è il Fíglio di Dio, o il Verbo eterno del Padre, di cui parla il pròlogo di san Giovanni, questi sentimenti hanno la loro orígine nell’umiltà di Dio.

IL FÍGLIO DI DIO HA LASCIATO IL CIELO PER UN PRESÈPIO, INFATTI, E POI LASCERÀ IL PRESÈPIO PER UNA CROCE. Oggi insieme vediamo l’inízio di questa STÒRIA DI UMILTÀ DI DIO, che si è fatto carne, si è fatto concepito, gestato dalla Vérgine Maria e Bambino che nasce a Betlemme per dissipare le tènebre dell’errore, della colpa, della morte e della paura. Sí perché il búio fa paura se non c’è neanche una luce che lo rischiari. Una strada completamente búia non siamo disposti a percórrerla come faremmo con una strada illuminata; una casa senza luce e con nessuna apertura che fàccia entrare la luce, nessuno di noi la comprerebbe, a meno che non ci si proponga in partenza di trasformarla e rènderla luminosíssima. Solo un ànimo cupo e morto dentro può desiderare di stare tutto il tempo al búio, senza luce. Ebbene, questa osservazione di tipo naturale ci dà il senso soprannaturale delle parole del profeta Isaia: «Il pòpolo che camminava nelle tènebre ha visto una grande luce; su coloro che abitàvano in terra tenebrosa UNA LUCE RIFULSE». Parole che ci dícono lo stato di attesa e di speranza soddisfatta finalmente, per un intero pòpolo. Le tènebre sono búio senza luce, búio fitto che attende di èssere squarciato dalla luce. Ecco questa luce attesa non è una làmpada, non è una candela, non è una centrale elèttrica, ma è “IL VERBO CHE SI È FATTO CARNE”; Dio che si è preso addosso la nostra umanità smarrita, dèbole e indifesa; errante, al búio, e impaurita.

Il profeta Isaia spiega infatti che questa GRANDE LUCE apparsa nelle tènebre e motivo di grande giòia e letízia è un bambino. Dice infatti: «perché un Bambino è nato per noi; ci è stato dato un figlio».

L’àngelo ai pastori lo comúnica con queste parole: «vi annúncio una grande giòia, che sarà di tutto il pòpolo: oggi, nella città di Dàvide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore». A cui fa eco san Pàolo nelle parole a Tito: «è apparsa la gràzia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uòmini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desiderî mondani e a vivere in questo mondo».

TUTTO QUESTO DEVE PORTARE IN NOI UNA GRANDE GIOIA, PERCHÉ SE LA GRÀZIA E LA LUCE PORTATE DA GESÚ SONO PER TUTTI GLI UÒMINI, ALLORA CI SONO ANCH’IO.

E la missione di Gesú nel suo primo avvento la sintetizza bene un Inno delle Lodi mattutine, che dice: «Nel suo primo avvento, CRISTO VENNE A SALVARCI, A GUARÍR LE FERITE DEL CORPO E DELLO SPÍRITO».

Guardate ora come diventa piú chiara la natura delle tènebre che la Luce vera è venuta a illuminare: si tratta di ferite del corpo (malattie, menomazioni, cecità, sordità, morte) e dello spírito (paure, superstizioni, empietà, orgoglio).

Gesú è il Mèdico delle ànime e dei corpi; e PORTA CON SÉ IL RIMÈDIO. Il primo rimèdio che egli porta è quello che contempliamo questa notte santa, a Betlemme, fra i pastori che pernòttano all’aperto; in una grotta, fra Maria e Giuseppe, alla presenza di un bue e un àsino. IL PRIMO RIMÈDIO ALLE NOSTRE INFERMITÀ, PAURE E BISOGNI È L’UMILTÀ. Dio si fa Bambino perché nessún adulto si fàccia Dio senza gli insegnamenti dell’Onnipotente úmile.

Il nostro èssere adulti o volér diventare adulti deve passare dalla grotta di Betlemme e dalla notte santa in cui i pastori hanno accolto senza resistenze la bella notízia della nàscita del Salvatore. TUTTO IN QUESTA NOTTE È UMILTÀ E GRANDEZZA, povertà e glòria, semplicità e preziosa manifestazione di luce.

Gli àngeli sanno di èssere nulla, se non càntano la glòria di colui che li ha creati; gli uòmini che fanno la guàrdia alle pècore sanno di èssere nulla, se non aspèttano e non crédono a un Salvatore dato dal Cielo; Maria e Giuseppe sanno di èssere nulla, se non avéssero accolto il disegno di Dio nella loro vita. E noi dovremmo saperci nulla, se nel búio del nostro presente non ci fosse la luce del Signore Gesú.

IN QUESTO NULLA, RICONOSCIUTO DA CIASCUNO, IL SIGNORE ENTRA A FARE GRANDI COSE, perché la sua scelta di nàscere pòvero, in una stalla, e riscaldato solo da un bue e da un àsino È IL MODO IN CUI HA VOLUTO ABBÀTTERE LA PRIMA MALATTIA SPIRITUALE DELL’UOMO: L’ORGÓGLIO. A càusa di questa malattia spirituale, Lucífero si ribellò a Dio e perse il Paradiso; Eva ed Adamo si allontanàrono da Dio e pèrsero la vita eterna; gli Ebrei non riconòbbero il loro Messia e lo rifiutàrono; gli uòmini di oggi scherníscono la verità rivelata e la morale cattòlica e si immèrgono sempre di piú nelle tènebre; i fedeli o il clero che si sèntono adulti nella fede, ignorando la lezione di Betlemme, finíscono per diventare o Erode, o Pilato, o Giuda, o Diotrefe.

Il Fíglio di Dio, venendo nel mondo, «si fece carne» (Gv 1, v.14), benché «tutto sia stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla sia stato fatto di ciò che esiste» (v.3). Egli che è eterno, onnipotente e spírito, accetta per amore e con umiltà di prèndere su di sé la natura mortale, fràgile e di èssere umano, per còmpiere uno scàmbio: ogni uomo gli darà la pròpria misèria e le pròprie ferite, ed Egli gli darà la sua ricchezza e la gràzia divine.

Questo scàmbio porta al búio la luce; alla malattia la guarigione; alla paura, l’amore che non teme nulla; ai morti, la vita divina; agli sfigurati dal peccato, la bellezza dei figlî adottivi di Dio. Dice il pròlogo di san Giovanni: «A quanti lo hanno accolto ha dato potere di diventare figlî di Dio» (Gv 1, v.12).

Che questa notte, e il tempo di Natale che da essa comíncia, ci fàcciano accògliere Gesú come l’úmile Maria, come l’úmile Giuseppe, come gli úmili àngeli, come gli úmili pastori, come gli úmili di ogni tempo, perché solo l’umiltà riconoscerà il Salvatore del mondo.

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