Letture della messa del giorno
Gesú di Nazareth pròprio a Nazareth viene disprezzato; non da sempre, ma a partire da questo momento: a partire dal commento che fa ad Isaia 61, nella sinagoga del suo paese.
Dopo che il rabbino ha letto le letture del giorno, Gesú chiede di potér guidare l’adunanza con una sua spiegazione. La lettura, infatti, in questo contesto di preghiera, richiede sempre un approfondimento; e gli occhî di tutti sono puntati su Gesú, perché Egli rilegge il brano di Isaia che annúncia il regno di Dio in mezzo agli uòmini, la buona notízia che è finito il tempo del rigore e della prigionia, ed è cominciato quello della gràzia, della misericòrdia, del Vangelo. La cosa dovrebbe rèndere felici tutti, e in qualche misura lo fa; ma poiché Gesú dice che questo SI CÒMPIE IN LUI, il discorso di fede si trasforma in una pretesa di favori; la necessità di farsi purificare dalla verità è soppiantata dalla richiesta di beni materiali non sudati. In fondo al cuore dei presenti si apre questo pensiero mercenàrio: «Se è vero che sei il Messia, dovevi riempire Nazareth di guarigioni, di gràzie, di portenti, come sentiamo che accade a Cafàrnao. Visto che non lo fai, la buona notízia che annunci, non ci interessa, né possiamo crédere che sei tu il Messia».
Guardiamo adesso come si comporta Gesú e che cosa insegna loro Gesú, per farli tornare a ragionare secondo la fede anziché secondo le brame.
Dice cosí: «c’èrano molte vèdove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vèdova a Sarèpta di Sidòne. C’èrano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».
Con questi due esempî, Gesú riafferma di èssere Colui che dice di èssere; insegna che non si ottiene ciò che non si chiede con fede; e infine che Dio non fa favoritismi ma gràzie, e la gràzia presuppone l’úmiltà.
Egli, infatti, cita due grandi profeti di Israele: Elia ed Eliseo, che operàrono su tutto il territòrio di Israele, ma che fécero materialmente solo questi due miràcoli a due stranieri. Se dunque si fa valere il ragionamento dei Nazaritani, si potrebbe anche di loro dire: non è profeta di Israele chi non fa un miràcolo per un figlio di Israele. Dunque, né Elia né Eliseo sono profeti. Il che è un’assurdità! Il profeta agisce per conto di Dio e non secondo lògiche umane. Gesú dunque smonta l’idea distorta che si ha del Messia: un mèdico che curerebbe solo sé stesso (e i suoi familiari).
Ma non si ferma qui l’insegnamento di Gesú che scatena l’ira e l’òdio dei presenti. Gesú dice che c’è un mèrito e una disposizione interiore che ottèngono le gràzie: il mèrito è la fede; la disposizione interiore è la volontà che accetta di fare ciò che Dio ci chiede. La vèdova di Sarepta accetta di preparare a Elia, con quel po’ di òlio e farina rimasti, una focàccia; il generale Naam accetta di entrare per sette volte nel Giordano. Umiltà e buona volontà spiègano, dunque, il perché nessuna vèdova di Israele ottenne da Elia cibo per la carestia. Umiltà e buona volontà spiègano perché nessún lebbroso di Israele ottenne di èssere purificato dalla lebbra.
E cosí Gesú smonta un’altra idea sbagliata: la pretesa di abbondanza di beni messiànici, dove ci sono solo desiderî carnali. Dio esige l’umiltà della fede in tutti e la buona volontà operosa in tutti. A Nazareth non le trova e per questo è disprezzato come profeta, ed è disprezzato come Messia. Dice il Vangelo: «All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempírono di sdegno. Si alzàrono e lo cacciàrono fuori della città e lo condússero fin sul cíglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giú» (Lc 4, 28-29).
Anche oggi il Vangelo autenticamente predicato gènera ostilità e chi lo vive radicalmente è cacciato fuori della città. Il perché è detto nella seconda lettura: «La carità non cerca il pròprio interesse, …non gode dell’ingiustízia, ma si rallegra della verità» (1Cor 14, 5-6). E siccome il Vangelo insegna solo la carità, non il sentimento, non la paura, non l’interesse del momento, chi è dominato da una di queste cose entrerà in guerra con chi non è dominato da esse.
Siamo noi i Nazaritani che «Si alzàrono e lo cacciàrono fuori della città», tutte le volte che ci dà fastídio un rimpròvero che colpisce nel segno; tutte le volte che emarginiamo chi ci ha detto la verità e cominciamo anche a infangargli la reputazione alle spalle. Siamo noi i Nazaritani, quando il Vangelo ci sembra stretto e l’ingiustízia non ci fa né caldo né freddo, perché non ha toccato noi. Basterebbe ricordare qui quello che sta succedendo per ora a tutte quelle persone e ragazzi che non pòssono piú prèndere i mezzi púbblici per il motivo che sapete; o che non pòssono lavorare per il motivo che sapete.
«La carità non gode dell’ingiustízia» (1 Cor 13, v.6), eppure abbiamo cattòlici che sadicamente gòdono per ogni spinta autoritària, e per ogni restringimento di libertà: scrívono post su Facebook che sèmbrano l’urlo di giòia dell’aguzzino che sta torturando il màrtire. ¿Dov’è il Vangelo vissuto in queste persone? Dov’è l’umiltà della fede? «La carità è magnànima, benévola…; non è invidiosa, non si vanta, non si gònfia d’orgóglio, non manca di rispetto, non cerca il pròprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustízia ma si rallegra della verità» (1 Cor 13, 4-6). E Gesú ci insegna anche che chi la vive, farà come lui: «Egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino» (Lc 4, v.30). Cioè: chi non ama la verità, resta fermo nello stesso punto, nei pensieri di morte, nelle pròprie misèrie; chi invece la ama e vive la carità, cammina in mezzo ai perícoli, li súpera, cresce e va avanti, con tutto ciò che gli serve in tempo di carestia e in tempo di lebbre.