Letture della messa del giorno
Il Signore parte da Gèrico e va verso Gerusalemme, in vista della Pasqua. GÈRICO È la città delle vacanze degli uòmini facoltosi e potenti, la città delle palme, la città abitata posta geograficamente all’altitúdine piú bassa della Terra. A Gèrico, secondo il Nuovo Testamento, Gesú incontra Zaccheo e guarisce Bartimeo, il cieco di cui oggi ci parla il Vangelo.
Questa città storicamente e biblicamente tanto importante, che Mosè vide solo da lontano e che Giosuè espugnò al suono della tromba, con un rito litúrgico compiuto attorno alle sue mura, è ANCHE IL SÍMBOLO DELLA CONDIZIONE UMANA SÚCCUBE DEGLI ONORI E LONTANA DALLA PASQUA. Gerusalemme, infatti, è il luogo della Pasqua e sarà il luogo in cui sarà crocifisso e risorgerà Gesú. Gèrico è invece la città che sprofonda sempre piú in basso nel suo vívere mondanamente, senza preoccupazione alcuna per la salvezza che finalmente la raggiunge. GESÚ, INFATTI, NON SI RECA A GÈRICO COME VACANZIERE, MA PER PARLARE ANCHE LÍ DEL REGNO DI DIO, FRA CIECHI E ZOPPI CHE HANNO BISOGNO SIA DI UNO SGUARDO NUOVO SULLA REALTÀ, sia di un cammino diverso da quello di chi ignora che solo «chi sèmina nelle làcrime, mieterà nella giòia» (Sal 125, v.5).
Il Signore promette per bocca di san Geremia: «Ecco, li riconduco dalla terra del settentrione e li raduno dall’estremità della terra; fra loro sono il cieco e lo zoppo, la donna incinta e la partoriente: ritorneranno qui in gran folla» (Ger 31, v.8). Questa promessa, con ogni evidenza, non è solo per gli Israeliti dispersi dopo la distruzione di Samaria, la capitale del Regno del Nord, ma anche per coloro che si tròvano nell’estremità della terra, cioè fra pòpoli lontani. Dio, che ha salvato il suo pòpolo, il resto di Israele, non si dimèntica di nessuno dei figlî degli uòmini, e manda il Fíglio unigènito come Fíglio dell’uomo, per èssere per sempre Sommo Sacerdote, secondo l’órdine di Melchísedech (Cfr Eb 5, v.6). IL SACERDOTE, INFATTI, È UN MEDIATORE TRA DIO E GLI UÒMINI e come tale deve avere in sé l’appartenenza sia al mondo degli uòmini, sia a quello divino. Ora, per questa dòppia appartenenza, solo Cristo Gesú è sacerdote perfetto e sommo: perché Dio, e perché ha assunto la natura umana su di sé, cioè: «si è rivestito di debolezza». Dice la lèttera agli Ebrei del sommo sacerdote: «Egli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore, essendo anche lui rivestito di debolezza» (Eb 5, v.2).
Ecco allora che Gesú ha compassione di chi è nell’ignoranza e nell’errore, perché a càusa dell’ignoranza non si vive in pienezza la vita divina che Egli ci ha riservato già in questa vita; e poi perché nell’errore si vive sospesi sull’abisso, nel perícolo costante di pèrdersi. Il cieco non vede la verità a càusa dell’ignoranza, mentre lo zoppo non può raggiúngere la verità a càusa dell’errore. Gesú, dunque, non viene solo per i malati nel corpo, per persone con qualche menomazione psíchica o física, ma per coloro che, o nell’ignoranza o nell’errore, lo aspèttano, lo cèrcano, lo riconóscono dalla voce come la Verità. Bartimeo è uno di questi. Appartiene alla categoria dei ciechi bisognosi, cioè di quei ciechi che sanno di èssere ciechi e di avere bisogno di aiuto. Ci sono, infatti, anche i ciechi che sono contenti e sereni nella loro cecità, che non cèrcano aiuto e che hanno le loro sicurezze che non cambierèbbero per niente al mondo. FRA I CIECHI BISOGNOSI E QUELLI PAGHI DI SÉ C’È UNA SOSTANZIALE DIFFERENZA: i primi guaríscono, mentre i secondi sono inguaríbili. I primi si fídano di Dio; gli altri di sé stessi. I primi hanno capito che “L’INSEGNAMENTO DEL SIGNORE È LA PUPILLA DEI LORO OCCHΔ (Cfr Pr 7, v.2), i secondi dícono: «HO QUANTO MI OCCORRE; ¿CHE COSA POTRÀ ORMAI CAPITARMI DI MALE?» (Sir 11, v.24).
Bartimeo appartiene ai ciechi bisognosi, che sanno di èssere nel bisogno permanente di aiuto, anche se appartèngono alla stessa città che ama gli onori e vive nell’abbondanza. Il suo nome è piú un cognome, perché vuol dire “fíglio di Timeo”; e questo cognome signífica “fíglio dell’onore”, perché “Timeo”, in greco, vuol dire pròprio “onore”. Questo abitante di Gèrico, questo fíglio dell’onore mondano che tanto accieca ogni uomo, è uscito fuori della città, all’inízio della strada che conduce a Gerusalemme, perché da lí passeranno gli uòmini religiosi che, per dovere, gli faranno l’elemòsina. Sente, però, fra questi passanti, la presenza di Gesú Nazareno e comíncia a gridare il suo bisogno: «Fíglio di Dàvide, Gesú, abbi pietà di me!» (Mc 10, v.47). E non si ferma perché rimproverato da alcuni, ma grida piú forte: «Fíglio di Dàvide, abbi pietà di me!» (Mc 10, v.48). È chiaro, da questo grido, che il suo desidèrio di guarigione è grande e che non gli basta l’elemòsina. La prova del suo orientamento totale verso una vita migliore è la seguente: quando gli viene riferito che Gesú lo chiama, «GETTATO VIA IL SUO MANTELLO, BALZÒ IN PIEDI E VENNE DA GESÚ» (Mc 10, v.50), per chièdergli: «Rabbuní, ch’io veda di nuovo!» (Mc 10, v.51). Il mantello per un pòvero è tutto: è la sua casa e la sua stessa pelle, per dormire all’aperto senza morire di freddo. In questo lasciare il mantello, dunque, c’è la libertà di chi si fida totalmente di Colui che chiama e non ci lascerà sprovvisti di ciò che ci serve. Bartimeo è l’esèmpio del discèpolo di Gesú che guarisce dall’ignoranza e dall’errore, perché si fida “ciecamente” di Gesú e per questo riacquista la vista. Questo discèpolo non solo vede di nuovo, ma ségue Gesú lungo quella strada che conduce a Gerusalemme, cioè al Calvàrio.
APPLICHIAMO ADESSO AL PRESENTE questo fatto stòrico, bíblico, evangèlico. Il mondo vorrebbe vívere sempre in vacanza, cioè in uno stato di spensieratezza in cui l’ignoranza di Cristo e l’errore sulla sua missione sacerdotale rèndono ciechi e zoppi. IL MANTELLO DI QUESTI CIECHI È LA TECNOLOGIA, CHE È DIVENTATA TUTTO PER LORO, ESSENDO PÒVERI DI VITA DIVINA. Pènsano che l’uomo possa raggiúngere la sua perfezione attraverso il transumanésimo e con un microchip sottocutàneo; pènsano che tutto ciò di cui l’uomo possa avere bisogno è dentro lo “smartphone”, o il tablet; e si tèngono stretti il mantello, restando ciechi. Il Signore ci propone come modello per guarire da questa presunzione disumanizzante Bartimeo, che desídera una vita migliore; si scopre chiamato da Gesú; e balza verso di lui a chièdere di nuovo la vista, per seguire non un capolavoro di ingegneria informàtica, ma l’Uomo Eterno che càmbia la vita.